La guerra è guerra anche se fa male, cantava qualche anno fa un noto cantautore italiano. Adesso vogliono convincerci che la guerra non è guerra perchè fa bene; anzi è uno strumento di lotta per l’affermazione dei diritti umani nel mondo.
“Le parole – scriveva Pavese – sono cose tenere, intrattabili e vive, ma fatte per l’uomo e non l’uomo per loro. Sentiamo tutti di vivere in un tempo in cui bisogna riportare le parole alla solida e nuda nettezza di quando l’uomo le creava per servirsene.” E allora bisogna ridare alle parole il loro significato genuino.
La prima parola che bisogna pronunziare è la parola guerra. In passato questa parola era stata nascosta dietro eufemismi o concetti ambigui. Deve essere ben chiaro che quella avviata con l’attacco della NATO la sera del 24 marzo non è un’operazione di polizia internazionale della Nazioni Unite, che non hanno mai assunto una sola deliberazione che autorizzasse qualcuno a ricorrere all’uso della forza per affrontare la questione Kosovo. Non è un intervento umanitario, nè una forma di ingerenza umanitaria negli affari del Kosovo. L’intervento umanitario della Comunità internazionale era già in atto nel Kossovo, con il dispiegamento dei 1.400 osservatori della missione OSCE e di centinaia di volontari di ONG di differenti paesi. Questo intervento aveva provocato una concreta “ingerenza umanitaria” che aveva raffreddato il conflitto, consentendo alla maggior parte dei profughi interni di rientrare nelle zone da cui erano stati scacciati. La scelta di guerra della NATO ha decretato la fine dell’intervento umanitario ed ha comportato – come inevitabile conseguenza – il ritiro della missione OSCE e di tutti gli osservatori internazionali presenti nella zona. Lo scatenamento della guerra, quindi, sancisce la fine dell’intervento umanitario della comunità internazionale nel Kosovo e consegna la risoluzione del conflitto fra serbi ed albanesi alla logica delle armi, nella quale i serbi non sono secondi a nessuno. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: dopo soli 5 giorni di guerra, sono segnalate 500.000 persone in fuga dal Kosovo.
La Carta delle Nazioni Unite, tuttora formalmente vigente, ha cancellato un istituto del diritto internazionale conosciuto come diritto degli Stati di ricorrere alla guerra: ius ad bellum. Il ricorso alle armi o è una forma di legittima difesa contro un attacco militare altrui o è una aggressione. Poiché la Yugoslavia non ha commesso nessun attacco armato contro paesi della NATO, nè contro paesi terzi, e non aveva neppure iniziato le operazioni militari nel Kosovo, che oggi giustamente ci fanno indignare, l’attacco scagliato dalla NATO è una aggressione pura e semplice.
La NATO ha rispolverato lo ius ad bellum, è si è arrogata il diritto di scatenare la guerra per risolvere una controversia di natura internazionale (non potendosi il conflitto del Kosovo considerare una questione interna della Yugoslavia), in violazione del suo stesso trattato istitutivo. E’ proprio quello che la Costituzione italiana, all’art. 11, non solo vieta, ma addirittura “ripudia”. Grazie ai nostri “alleati” ed alla irresponsabile compiacenza dei nostri governanti il nostro paese è stato trascinato in una guerra scatenata per risolvere una controversia internazionale, che il Parlamento italiano non ha mai deliberato e che non delibererebbe mai per la sua oscenità, malgrado la nausente gara alla “fedeltà atlantica” fra i due poli, che sono contrapposti nella lotta per il potere, ma omogenei nel servilismo agli USA, fino all’estremo sacrificio del diritto alla pace del popolo italiano e della sua stessa sicurezza nazionale.