Un colpo di Stato internazionale

L’ aspetto moralmente più indecoroso della guerra della Nato contro la Federazione jugoslava è il fatto che essa continui ad essere giustificata come “guerra etica”, o “umanitaria” o “per i diritti umani”.Gli argomenti morali espressi da queste contraddizioni in termini vanno tuttavia presi sul serio. Innanzitutto perché su di essi si basa il consenso dell’opinione pubblica occidentale, necessario nelle nostre democrazie per rendere accettabile la guerra. In secondo luogo perché sul consenso alla “guerra etica” o “per i diritti” e sul mutamento del senso comune intorno al loro rapporto con la guerra e con la pace, si fonda la riuscita del vero colpo di stato internazionale e volto a sostituire la Nato all’Onu come garante dell’ordine internazionale. Infine quegli argomenti sono moralmente allarmanti non perché frutto di interessate mistificazioni, ma proprio perch sostenuti in buona fede, ed espressione quindi di una crisi inquietante della ragione: della ragione morale, della ragione giuridica, della ragione politica, della ragione strumentale.La confutazione più tragica della tesi che giustifica la guerra come mezzo di tutela dei diritti umani venuta proprio dagli effetti, opposti ai fini dichiarati, da essa provocati. Oltre a seminare distruzione e morte tra la popolazione della Serbia e del Kosovo, l’intervento della Nato ha moltiplicato gli eccidi delle popolazioni kosovare e le loro espulsioni in massa ad opera delle bande di Milosevic, senza che i governi della Nato, che avrebbero dovuto prevederli perché convinte di trovarsi di fronte a un nuovo Hitler, si siano curate di apprestare alcun piano di accoglienza.Basterebbe questo a rendere immorale la qualificazione della guerra come “etica” o “umanitaria”. In primo luogo perché il mezzo impiegato per raggiungere il fine umanitario consiste nella punizione, per una sorta di responsabilità collettiva, di persone innocenti, e viola il principio kantiano dell’etica moderna secondo cui nessuna persona può essere usata come mezzo per i fini non suoi. In secondo luogo, l’assoluta incongruenza, sotto il profilo della razionalità strumentale, tra il mezzo della guerra e il dichiarato fine umanitario. In generale, e tanto più in politica, la sola etica che conta non quella dei fini perseguiti ma quella degli effetti provocati. E preservare nel tragico errore vuol dire passare dall’irresponsabilità alla corresponsabilità.Ancor più assurda è la qualificazione della guerra come “guerra per i diritti”. La guerra è la negazione del diritto, violazione di massa dei diritti umani, i quali non sono concepibili al di fuori del diritto, né senza la mediazione delle forme giuridiche.Non starò qui a ripercorrere analiticamente l’elenco degli illeciti perpetrati con questa guerra. Innanzitutto la violazione della Costituzione italiana che all’articolo 11 bandisce la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e all’articolo 78 richiede che la guerra (di difesa) sia deliberata dalle camere. In secondo luogo la violazione della Carta dell’Onu, che non solo vieta la guerra ma prescrive i “mezzi pacifici” volti “a conseguire la composizione e la soluzione delle controversie internazionali”: a cominciare dal negoziato ad oltranza, che non è stato neppure tentato non potendosi considerare tale l’ultimatum di Rambouillet, proposto sotto la minaccia dei bombardamenti in violazione dell’articolo 52 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati che vieta e dichiara nullo ogni trattato concluso sotto costrizione. In terzo luogo la violazione del Trattato istitutivo della Nato, che configura l’alleanza come esclusivamente difensiva e vincolata alla Carta dell’Onu. In quarto luogo quella dello statuto della Corte penale internazionale approvato a Roma nel luglio scorso, che prevede l’aggressione tra i delitti di competenza della corte.Infine le violazioni delle convenzioni di Ginevra, in base alle quali sono crimini di guerra i bombardamenti delle popolazioni civili, i quali hanno provocato come “danni collaterali” non imprevedibili migliaia di vittime innocenti e – almeno in un caso, il bombardamento della tv serba – l’uccisione intenzionale e rivendicata dalla Nato di undici giornalisti. Queste violazioni mostrano la tragica incongruenza tra il mezzo della guerra e il fine della tutela dei diritti, per l’intrinseca antinomia tra guerra e diritto enunciata da Hobbes alle origini della civiltà giuridica moderna. L’idea che i diritti possano essere tutelati con quel mezzo per natura antigiuridico che è la guerra, esprime un’assurda contrapposizione tra diritti e diritto, tra sostanza e forme giuridiche: come se le forme fossero vuote procedure e non le tecniche di garanzia dei diritti, e il diritto un feticcio anziché un sistema di regole razionali volte a minimizzare la violenza e l’arbitrio.Insisto su questa antinomia. La prima regola che distingue le tecniche anche coercitive di garanzia dei diritti umani – pensiamo al diritto penale e all’impiego delle forze di polizia – è la non punizione dell’innocente. E’ in questo che risiede la differenza, non di forma ma di sostanza, tra la “guerra” e l'”impiego della forza” disciplinato dal cap. VII della Carta dell’Onu. E’ la differenza che corre tra pena e vendetta, tra diritto e ragion fattasi: l’uno è la negazione dell’altra. La guerra è per natura un uso della forza smisurato e incontrollato, diretto all’annientamento dell’avversario. Un’operazione di polizia si limita invece all’uso della forza strettamente necessario non per “vincere”, ma unicamente per ristabilire la legalità violata.Naturalmente la guerra può risultare assai più efficace dell’uso della forza nelle forme del diritto. Il diritto – ossia la trattativa paziente, i diversi tipi di embargo, e poi l’uso regolato e controllato della forza, con le sue garanzie e procedure – è per sua natura un mezzo più costoso, più lento e meno efficace di quell’uso sregolato e illimitato della forza che è la guerra. E tra i suoi costi c’è sempre il rischio di una qualche ineffettività. Nessuno sosterrebbe che il diritto penale interno sia sempre effettivo. In Italia lo stato non riesce ad aver ragione della mafia. Ma nessuno pensa che per debellare la mafia sia lecito bombardare le località mafiose, torturare o fucilare i sospetti. Per questo la guerra moderna, condotta tramite bombardamenti che colpiscono inevitabilmente le popolazioni civili, non è più giustificabile, ammesso che lo fosse in passato, come “sanzione” di illeciti internazionali sia pure contro i diritti umani.Ma la guerra della Nato non ha avuto solo effetti contrari alle sue proclamate finalità morali. Essa è fallita sul terreno della razionalità politica. Ingaggiata per garantire il diritto all’autodeterminazione del Kosovo, di questo diritto essa ha distrutto sia l’oggetto che i soggetti, riducendo la regione a un cumulo di macerie e provocando, direttamente o indirettamente, l’eccidio di migliaia di kosovari. Né si vede come sarà possibile, dopo questa tragedia, una convivenza tra albanesi e serbi del Kosovo, qualunque sia lo statuto di autonomia e di indipendenza assicurato alla regione. Nel migliore dei casi si formeranno uno o magari due stati etnici tra loro nemici, con minoranze perseguitate.Proseguita ad oltranza per eliminare dalla scena Milosevic, la guerra ne ha accresciuto il consenso presso l’opinione pubblica serba, annullando dieci anni di lotte di opposizione. Infine la guerra ha riedificato il muro, abbattuto dieci anni fa, che separava l’Europa dal blocco dell’Est, alimentando il nazionalismo e l’antioccidentalismo non solo in Serbia ma anche in Russia e in Cina e uccidendo la credibilità dell’occidente e dei suoi valori democratici. Giacché l’Occidente fa oggi esattamente ciò che ha sempre rimproverato al comunismo sovietico: l’imposizione con la violenza dei propri valori. Ieri l’imposizione con la forza del socialismo, oggi l’imposizione con la forza della democrazia e del rispetto dei diritti umani: vorrebbe dire, a rigore, portare la guerra in ogni angolo del pianeta, inclusi molti paesi occidentali.Dobbiamo allora domandarci se stiamo assistendo a un’esplosione di follia o a una pur folle ma calcolata strategia: l’affermazione delle ragioni della forza su quelle del diritto e la squalificazione dell’Onu e del diritto internazionale, in vista di un nuovo ordine (e disordine) mondiale basato sul dominio non solo economico ma militare delle potenze occidentali.Di fronte a una simile prospettiva, sembrano inutili gli appelli al diritto e alla ragione. E tuttavia se non fermano un solo bombardamento, essi contribuiscono alla formazione del senso comune intorno all’illegittimità giuridica e morale della guerra. Questa sarà infatti tanto più disastrosa quanto più riceverà il tacito avallo della cultura politica e giuridica. La sola condizione per uscire dal disastro, anche culturale e politico da essa provocato, è che essa sia stigmatizzata e ricordata come una tragica e gravissima colpa. La guerra non riuscirà ad essere un atto costituente di un nouvo ordine/disordine mondiale e il colpo di stato con essa tentato fallirà soltanto se si prenderà atto che essa ha segnato una disfatta morale, giuridica e politica dell’Occidente, riparabile solo con un rinnovato mai più alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.(*) L’articolo qui pubblicato è una breve sintesi de “La guerra della Nato: una disfatta del diritto, della morale e della politica”, che uscirà su Critica Marxista.

Facebook