Democrazia e Stato di Diritto nell’epoca della globalizzazione

AMBIENTE E LAVORO
Movimento ambientalista e movimento operaio: un incontro difficile ma ineludibile nell’era della globalizzazione

Roma 25 gennaio 2001

L’ecologia delle istituzioni
Democrazia e Stato di diritto nell’epoca della globalizzazione.

di Domenico Gallo

Esiste un problema di ecologia delle istituzioni. L’esigenza di tutela della biosfera, la necessità di tutelare la vita sulla terra a fronte delle aggressioni e della dilapidazione dei beni essenziali della terra, dell’aria, dell’acqua e della stessa biodiversità, pongono una contraddizione ecologica. La contraddizione ecologica è una contraddizione primaria, come tale essa precede e trascende tutte le altre contraddizioni politiche, ivi compresa la contraddizione di classe. Proprio per il suo carattere primario la contraddizione ecologica viene, talora, percepita come una contraddizione prepolitica ed i movimenti ecologisti vengono considerati come portatori di istanze neutre o indifferenti ai contesti istituzionali.

Questo però non significa che i differenti contesti istituzionali siano neutri o indifferenti rispetto alle esigenze primarie poste dalla contraddizione ecologica.

Esistono contesti e modelli istituzionali che sono più funzionali alle scelte tecniche, produttive, economiche e politiche che favoriscono l’aggressione all’ambiente ed altri che, invece, che rendono possibile la circolazione di anticorpi e l’attivazione di pesi e contrappesi che quelle scelte possono modificare, limitare o condizionare.

Il primo esempio di un modello istituzionale antiecologico è indubbiamente quello del c.d. “socialismo reale”. Non è un caso che questo modello, fondato sulla concentrazione e pianificazione di tutte le scelte economiche e tecnico-produttive nelle mani di pochissimi decisori e sulla impermeabilità delle strutture di potere ad ogni forma di controllo democratico dal basso, sulla assenza di responsabilità politica, e sulla carenza di controlli di legalità, abbia prodotto dei disastri ambientali colossali come il prosciugamento del lago d’Aral e l’esplosione del reattore nucleare di Cernobyl.

Quello del lago d’Aral è un disastro frutto di una programmazione economica autoritaria ed irresponsabile. La scelta di impiantare enormi distese coltivate intensivamente a cotone, deviando e canalizzando le acque dei due affluenti del lago d’Aral, ha modificato un equilibrio ecologico consolidato da millenni ed ha provocato la riduzione alla metà della superficie del lago e la sua trasformazione in una sorta di mar morto, ove è assente ogni forma di vita, con danni gravissimi per la salute umana e l’economia locale. Il disastro del lago d’Aral è l’esempio più vistoso dei guasti provocati da un sistema istituzionale nel quale si verificava la massima distanza fra i cittadini e le istituzioni e la minima possibilità di controllo dal basso delle scelte economico produttive compiute dalle classi dirigenti. Si tratta di un tipico disastro da “socialismo reale”.

L’incidente di Cernobyl, invece, è frutto di scelte tecnico-produttive, fondate su una concezione prometeica della natura, che il sistema del socialismo reale ha condiviso con l’Occidente, ed è per un mero caso che altri incidenti avvenuti in occidente, come quello di Three Mile Island in Pennsylvania (il 28 marzo del 1979) non abbiano avuto lo stesso impatto catastrofico.

Oggi in Italia un disastro come quello di Cernobyl non può più accadere perché la sua possibilità è stata sventata dalla democrazia. E non può più accadere che l’Italia, per riciclare le sue scorie nucleari, si dedichi alla produzione ed alla dispersione sul teatro dei conflitti, di munizioni all’uranio impoverito come fanno Inghilterra e Stati Uniti.

L’Italia, infatti, si è liberata del nucleare grazie al referendum del 1987. Proprio questo fatto dimostra che esiste un nesso strettissimo fra ecologia e democrazia.

Una democrazia compiuta, matura, partecipata costituisce l’ambiente istituzionale più favorevole per far emergere nel sistema politico i bisogni sociali e le domande di qualità che la contraddizione ecologica pone all’ordine del giorno.

Al contrario la versione gretta e semplificata della democrazia che ci propone il modello americano, basato sulla competizione individuale, sulla assenza della partecipazione popolare attraverso i corpi sociali intermedi, sullo stato sociale minimo, sul maggioritario e sul Presidenzialismo, costituisce l’ambiente istituzionale meno favorevole per sviluppare delle politiche che puntino allo sviluppo sostenibile.

Non a caso il modello economico-sociale-produttivo americano è quello che comporta la massima dissipazione delle risorse, ove si consideri che negli Stati Uniti il consumo annuale di energia pro-capite, ammonta alla astronomica cifra di 7.918 chilogrammi equivalenti di petrolio, contro i 2697 dell’Italia.

Il combinarsi della massima sovranità del mercato con una posizione militare geopolitica egemonica, produce l’effetto di una licenza di inquinamento e di dissipazione delle risorse naturali del pianeta, che si vuole porre al riparo da ogni forma di regolazione globale, facendo fallire, com’è avvenuto recentemente, il negoziato sul clima a l’Aja.

Questa situazione non è colpa della “democrazia “ americana e non è stata prodotta direttamente ed immediatamente dal sistema istituzionale, però le caratteristiche di quel sistema hanno reso possibile l’evoluzione di una democrazia liberale di stampo ottocentesco in un sistema di plutocrazia, fondato sul predominio assoluto degli interessi delle grandi imprese transnazionali.

Nessun Governo può essere considerato un mero “comitato d’affari” della borghesia, tuttavia, non v’è dubbio che sulla scena del negoziato economico globale, il Governo degli Stati Uniti, qualunque sia il colore dell’amministrazione in carica, agisce come il rappresentante ed il portavoce delle imprese multinazionali americane. E’ noto che la posizione degli USA al negoziato di Seattle è stata dettata dalla Coalizione dell’industria dei servizi i cui desiderata sono stati fatti propri dalla rappresentante speciale del Presidente per il commercio, Charlene Barshefsky, che li aveva espressamente sollecitati.

E’ vero che tutti i Governi sono portati a difendere gli interessi delle proprie imprese, nei negoziati internazionali, poiché tali interessi sono in qualche modo collegati a quelli dei propri cittadini. Ma il Governo degli Stati Uniti, paese nel quale non si produce una sola banana, nel caso del ricorso presentato al WTO contro la disciplina europea delle banane, ha agito esclusivamente come rappresentante degli interessi della multinazionale Chiquita, a prescindere da ogni interesse materiale del popolo americano. Non è un caso che due giorni dopo la presentazione del ricorso al WTO nel 1996, la banana Chiquita (in persona di Carl Lindner) abbia versato 500.000 dollari al Partito democratico e che successivamente, nel 1998, un mese dopo la presentazione da parte della Leadership repubblicana di una bozza del disegno di legge che prevedeva delle sanzioni contro l’Europa per non aver rispettato in tutte le sue parti le dispositivo del WTO, il Partito repubblicano sia stato ricompensato con una donazione di 350.000 dollari proveniente dalla banana Chiquita.

Verrebbe di parlare di Repubblica delle banane, ma non si tratta di corruzione: è un dato di sistema, è la plutocrazia che trionfa.

Nella crisi politico- istituzionale che si è prodotta nel nostro paese, dopo che è tramontato l’assetto consolidato nel periodo della guerra fredda, molte voci si sono levate ed è sorto un vero e proprio partito politico trasversale che ha puntato ad esportare in Italia, sotto molteplici profili, il “modello americano”.

Si è puntato a modificare il pluralismo e la rappresentanza e a smantellare la partecipazione attraverso l’aggressione al sistema elettorale proporzionale e la personalizzazione estrema della competizione politica, così come si è puntato a smantellare il modello dei diritti e delle garanzie sociali (attraverso i 20 referendum promossi dai radicali), che costituiscono patrimonio specifico della democrazia italiana e tratto differenziale della democrazia europea rispetto a quella americana.

L’offensiva demolitrice della democrazia italiana attraverso il maggioritario, il Presidenzialismo, la bicamerale ed i referendum antisociali, fortunatamente si è infranta sulle secche degli scogli e delle contraddizioni che essa stessa ha provocato.

Tutto quello che si poteva dire per contrastare questa offensiva si è già detto. Quello che mi interessa qui sottolineare, perché non è mai venuto bene in evidenza, è il carattere antiecologico di questo progetto politico-istituzionale.

Il c.d. “modello americano” riducendo la politica a mera competizione fra elités, sempre più dipendenti dai finanziamenti privati, e trasformando i cittadini in consumatori passivi di consenso politico, pone le premesse perché la politica, assoggettata alla sovranità assoluta del mercato, non possa più condizionare l’economia. Questo rende impossibile che nel sistema istituzionale emergano quei bisogni sociali e quelle domande di qualità dello sviluppo che costituiscono, in democrazia, l’unico contrappeso agli interessi forti e agli orientamenti consolidati delle tecnostrutture.

In effetti all’interno di un sistema politico-istituzionale, la contraddizione ecologica può essere declinata soltanto come contraddizione sociale. Non sono certo i pesci e gli uccelli che si possono battere per la qualità dell’acque e dell’aria. Solo gli uomini lo possono fare. E per farlo hanno bisogno di luoghi di aggregazione e di organizzazioni sociali che possano trovare, sia direttamente che indirettamente sbocco e rappresentazione nel sistema politico istituzionale.

Quel progetto di mortificazione del pluralismo e della rappresentanza politica insito nella battaglia per il maggioritario puro, che – per ammissione dei suoi stessi leaders – mirava ad instaurare un partito unico del centro sinistra, (a cui avrebbe corrisposto un analogo partito unico del centro-destra) avrebbe inevitabilmente comportato un degrado della visibilità politica e della capacità di organizzazione delle domande sociali che ruotano intorno alla contraddizione ecologica.

Nel partito unico la domanda sociale ecologica sarebbe stata centrifugata e amalgamata con domande sociali contraddittorie e avrebbe perso sia la propria dimensione di senso, sia un’identità visibile. Soprattutto non ci sarebbe stato nessuno strumento politico per correggere o reagire alle eventuali scelte sbagliate o controproducenti eventualmente compiute dai leaders del partito unico.

Se oggi è possibile concepire il progetto del Girasole, lo si deve al fatto che nel sistema elettorale è stato conservato uno spicchio di proporzionale. Il referendum che mirava ad abolire anche quest’ultima trincea del proporzionale, che gli elettori hanno clamorosamente affondato il 21 maggio 2000, avrebbe avuto come effetto di impedire che potesse emergere nel sistema politico un corpo organizzato di cittadini portatori di domande sociali orientate sulla contraddizione ecologica e che queste domande sociali potessero ottenere la verifica ed il consenso del corpo elettorale.

E’ ben vero che, proprio per il carattere primario della contraddizione ecologica, le relative domande sociali non possono essere appannaggio di un solo partito o di un solo gruppo organizzato, perché devono penetrare anche nella cultura degli altri partiti e diventare senso comune, però non si può negare l’esigenza di un gruppo organizzato di cittadini che svolga un ruolo propulsivo. Per poter svolgere questo ruolo occorre un sistema istituzionale che garantisca il pluralismo, anziché mortificarlo, che incentivi la partecipazione dei cittadini anziché disincentivarla, che favorisca la rappresentatività (delle domande sociali), invece che ridurla.

L’ecologia, pertanto, ha bisogno della democrazia ed ha bisogno non di una democrazia qualunque, ma di una democrazia ricca, non semplificata, non autoritaria, inclusiva e non esclusiva, che chiami i cittadini ad associarsi e a concorrere, con metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale.

Una democrazia nella quale siano pienamente operanti i meccanismi dello Stato di diritto, la divisione, la distribuzione e la diffusione dei poteri, il controllo di legalità, l’indipendenza della magistratura. Persino una questione che può sembrare lontanissima dagli interessi del pensiero verde, come la questione dello statuto del P.M. e della composizione del Consiglio superiore della magistratura ha una ricaduta ecologica immediata, ove si consideri che i primi interventi significativi dei c.d. “Pretori d’assalto” a difesa dell’ambiente e della salute sono stati resi possibili da un sistema istituzionale che escludeva la possibilità di controllo politico del Pubblico Ministero e consentiva un livello di indipendenza reale della magistratura, garantito dall’autogoverno realizzato attraverso il Consiglio Superiore.

Oggi non è più possibile concepire un soggetto politico impegnato sui temi della contraddizione ecologica che non assuma la lotta per la democrazia ed il diritto nel proprio dna; nello stesso tempo l’ecologia delle istituzioni rappresenta un interesse comune dei movimenti che si rifanno alla tradizione di solidarietà sociale costruita attraverso l’esperienza del movimento dei lavoratori. Su questo terreno l’incontro è proficuo, necessario ed ineludibile.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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