Il 7 novembre del 2001, con il voto del Parlamento che ha sancito la partecipazione del nostro paese alla guerra in corso nell’Afganistan, l’Italia è stata calata nelle tenebre di un conflitto sanguinoso del quale non si intravede alcuno sbocco. La guerra non è solo la notte della politica, è anche la notte della democrazia.
Dopo oltre un decennio di insofferenza per le regole ed i valori della Carta costituzionale nata dalla resistenza, dopo che sono stati saccheggiati a piene mani i beni pubblici che assicuravano la partecipazione popolare e la rappresentatività delle istituzioni elettive, dopo che la Costituzione è stata banalizzata e amputata del suo fondamento di legittimità rappresentato dall’antifascismo, alla fine è stato compiuto l’ultimo saccheggio. E’ caduto (di fatto anche se non formalmente) il baluardo del ripudio della guerra, bene indisponibile del popolo italiano, che i Padri costituenti avevano consegnato alle generazioni future come salvacondotto per garantire ai figli un avvenire diverso da quello dei padri.
Ma adesso l’avvenire è già passato e noi siamo condannati a rivivere di nuovo il “tripudio patriottico” e lo sventolio di bandiere che accompagna l’armata che parte, come è avvenuto negli anni più bui del secolo passato. Abbiamo vissuto anche l’onta di un Governo che convoca una manifestazione di Piazza per annunziare, con enfasi, come si faceva una volta dal balcone di Piazza Venezia, l’entrata dell’Italia in guerra. Senonchè la storia quando si ripete si trasforma sempre in farsa. Se il tripudio bellico organizzato a Piazza Venezia il 10 giugno del 1940 annunziava una tragedia incommensurabile, lo show di Piazza del Popolo celebra la farsa “patriottica” dell’italietta di Berlusconi, nella quale compaiono come controfigure anche Rutelli e Fassino con il loro dolente viaggio a Brindisi. Una farsa amara per i suoi risvolti di bombe e di morti. Una farsa della politica che si risolve in un dramma per la democrazia.
Alla fine è il volto stesso della democrazia che muta profondamente. La novità delle democrazie partorite dopo la notte di tenebre della II guerra mondiale, sulla scia del nuovo ordinamento internazionale prefigurato dalla Carta delle Nazioni Unite, consisteva nella concezione che non può esistere un ordinamento giuridico separato da una tavola di valori. La democrazia non è una semplice procedura per giungere, in modo pacifico, alla formazione del comando politico, per stabilire come deve essere designato o sostituito chi deve comandare, e quanto potere deve avere. Ed il diritto non è una mera tecnica in quanto è stato indissolubilmente collegato ad una serie di valori che stanno fuori dal diritto (infatti si chiamano metagiuridici), ma di cui il diritto non può fare a meno. Oggi infatti non è più concepibile un diritto della schiavitù o della discriminazione sociale e non potrebbero più essere concepite delle leggi razziali, quant’anche nel Parlamento sedesse una maggioranza politica di orientamenti razzisti.
Gli anni che sono seguiti alla caduta del muro di Berlino in Italia hanno aperto un ciclo politico che ha smantellato il sistema dei partiti come luogo di partecipazione di massa e di educazione democratica, ha smantellato la cultura della solidarietà e dei diritti che faceva da aggregante del partito di massa, ha smantellato il sistema dei valori, cioè dei significati che organizzavano l’agire politico, riducendo la politica a mera lotta di elitès e consegnandola nella più totale anomia.
L’anomia della politica, a lungo andare, porta all’anomia della democrazia. De resto è stato uno dei leader della sinistra, l’ex Presidente del Consiglio D’Alema, a vantarsi di aver fatto superare alla sinistra il tabù della guerra. Per la destra, che il ripudio della guerra l’ha sempre subito, è stato ancora più facile sbarazzarsi di questo tabù. Per questo la scelta del Governo Berlusconi di impegnare anche l’Italia nella guerra (dopo che finalmente è arrivato il semaforo verde da Washington) si è trasformata in una marcia trionfale in Parlamento. Soltanto 67 fra deputati e senatori hanno scelto “di stare con il nemico”, come titola il Giornale inagurando un nuovo stile di linguaggio politico fascista, adeguato ai tempi nuovi. Adesso lo scrigno della democrazia è stato compiutamente saccheggiato. Le nuove leggi elettorali sono riuscite a rendere il Parlamento non più rappresentativo della volontà del popolo italiano (nella sua maggioranza contrario alla guerra) e questo Parlamento, in tal modo ridimensionato, ha gettato nel fango le perle che arricchivano il nostro patrimonio costituzionale. Così si è fatto buio all’improvviso nell’ordinamento sul quale si fonda il nostro patto di convivenza. E tuttavia il ripudio della guerra non è morto. Scacciato dal palazzo, è stato immediatamente riportato nelle piazze, dalla manifestazione dei centomila che hanno invaso Roma, sabato 10 novembre. E’ vivo e vegeto nella testa e nel cuore di milioni di persone che non hanno smesso di sperare.