L’aspetto più eclatante della politica della giustizia perseguita dal Governo Berlusconi e dalla sua maggioranza parlamentare è naturalmente quello relativo alla legiferazione ad hoc, strettamente collegata all’esigenza di impunità del Premier e dei suoi sodali. E’ accaduto che gli avvocati di Silvio Berlusconi, eletti nelle sue liste in Parlamento, non avendo conseguito l’assoluzione del proprio cliente per via giudiziaria, stanno trasformando i loro assunti difensivi in leggi da utilizzare per paralizzare i processi in corso; leggi che godono di una priorità assoluta, rispetto a tutte le altre questioni, nel percorso parlamentare, fino all’assurdo sprint con cui si sta cercando di approvare la Cirami per sottrarre i processi di Milano al loro giudice naturale, prima che si arrivi ad emettere la sentenza.
Tuttavia sarebbe riduttivo e fuorviante leggere lo scontro in atto sulla giustizia mettendo a fuoco soltanto la questione delle garanzia di impunità per un ristretto numero di persone. In questo senso lo slogan polemico posto a base dei girotondi in cui si invoca il principio che la legge è uguale per tutti, non coglie il segno.
Infatti il principio organizzatore dello Stato di diritto che la legge è uguale per tutti può essere declinato anche in presenza di forme limitate di privilegi o di guarentigie. Nessuno in passato ha messo in dubbio l’operatività del principio di eguaglianza formale di tutti gli uomini innanzi alla legge, pur in presenza della immunità procedurale che l’art. 68 della Costituzione (vecchio testo) riservava ai parlamentari, così come nessuno dubita della vincolatività delle norme penali, anche se il Papa ne rimane escluso.
Se il problema fosse stato soltanto quello di garantire l’immunità al Premier e ad un ristretto numero di persone, non sarebbe stato necessario il terremoto sul piano delle leggi penali, di procedura penale e di ordinamento giudiziario avviato dal Polo. Sarebbe stato possibile trovare soluzioni più eleganti e meno costose in termini di legalità.
La politica della giustizia e del diritto del Polo, anche se condizionata dalle esigenze e dalle scadenze processuali degli imputati eccellenti, esprime un obiettivo molto più ambizioso: quello di modificare i connotati dello stato sociale di diritto, riducendo il tasso di legalità del sistema e demolendo l’articolazione pluralista dei poteri.
Nell’ambito di questo progetto sono stati messi in cantiere un ventaglio di strumenti, legislativi e politici che operano a 360 gradi.
Questi sono i filoni che possono identificarsi in breve sintesi.
1. Destrutturazione dei regolamenti socio-economici.
1.1. La legge sul rientro dei capitali (D.L. n. 350 convertito nella legge n. 409 del 23 novembre 2001) non è semplicemente una legge di “emersione delle attività detenute all’estero”. Grazie all’assoluto anonimato assicurato alle operazioni, questa legge consente il riciclaggio dei capitali mafiosi ed il loro definitivo occultamento. Insomma è una legge per il riciclaggio legale dei capitali. .
1.2. La legge delega sul falso in Bilancio (L. n. 366 del 3 ottobre 2001), non soltanto sostanzialmente depenalizza il falso in bilancio, rendendone di fatto problematica, se non impossibile la punibilità, ma abbassa il livello di trasparenza e di garanzia nella gestione delle imprese, consentendo addirittura la creazione di fondi neri.
1.3. La proposta di delega sul lavoro, anche se non è stata ancora trasformata in legge per sfuggire alla scadenza del referendum, introduce la più massiccia destrutturazione dei regolamenti del mercato del lavoro che sia stata mai concepita. La destrutturazione riguarda anche l’aspetto delle garanzie processuali attraverso il ricorso quasi obbligatorio all’arbitrato che riduce drasticamente il controllo di legalità esercitato dalla magistratura del lavoro.
2. Destrutturazione (e paralisi) del sistema di coercizione penale.
Sul terreno del processo penale convergono iniziative di fonte governativa ed iniziative di fonte parlamentare. In questo settore, più che in altri, l’opacità degli obiettivi perseguiti dal Governo viene mascherata utilizzando l’iniziativa della maggioranza parlamentare.
2.1 La legge sulle rogatorie (L. n. 367 del 5 ottobre 2001) nella quale, col pretesto di ratificare l’accordo italo-svizzero sulla semplificazione delle rogatorie internazionali, sono state introdotte nella procedura penale delle norme che ostacolano fortemente la possibilità di acquisire ed utilizzare le prove raccolte all’estero, è il primo esempio di una normativa ad hoc che si prefigge apertamente di ostacolare la già lenta ed inefficiente macchina della giustizia. E’ appena il caso di rilevare che le conseguenze disastrose che erano state paventate all’inizio non si sono verificate soltanto perché l’Autorità giudiziaria, ha fornito una interpretazione razionalizzante della legge – contro la volontà del legislatore – paralizzandone gli effetti negativi.
2.2. La legge Cirami, in corso di approvazione in questi giorni, fa rivivere la nozione generica del “legittimo sospetto”, che nel passato ha consentito che processi “storici”, da Portella della Ginestra al Vajont dalla schedatura Fiat a Piazza Fontana, fossero sottratti alla sede naturale e messi a rischio di morte per prescrizione e si inserisce nel solco di una tradizione di pesante interferenza dei poteri reali nei confronti dell’esercizio della giurisdizione. Inoltre l’automaticità della sospensione, la possibilità di presentare istanze in numero infinito (soprattutto nei processi di mafia e criminalità organizzata), combinandosi tra loro, possono determinare – come ha osservato il CSM – una inaccettabile durata dei dibattimenti, incidendo anche sui termini di custodia cautelare, fino alla pratica impossibilità di portare a termine i processi.Con la reintroduzione del legittimo sospetto come prefigurato nella legge Cirami, si crea una forte opportunità di paralisi della macchina della giustizia a beneficio esclusivo di imputati potenti per le loro qualità personali o per la forze del background criminale alle loro spalle.
2.3. La proposta di legge Pittelli completa questo quadro rafforzando in modo esponenziale le garanzie di paralisi della macchina della giustizia, già fornite dalla legge sulle rogatorie e dalla (quasi) legge Cirami. Il disegno di legge, con le sue previsioni in tema di incompatibilità, informazione di garanzia, inutizzabilità delle prove, e ricorso immediato in Cassazione, paralizzerà del tutto il sistema di coercizione penale, almeno con riferimento ai fatti di criminalità più rilevanti. E’ vero che si tratta di una proposta di iniziativa parlamentare, ma anche la legge Cirami è di iniziativa parlamentare. Se venisse trasformata in legge, per la prima volta nel nostro ordinamento entrerebbe in vigore una normativa volta scopertamente ad agevolare la malavita, rendendo inefficiente fino alla paralisi la macchina della giustizia.
Questo non vuol dire che le carceri si svuoteranno. Semplicemente lo strumento della coercizione penale cambierà di segno, da strumento generale di controllo di legalità, diventerà una macchina per la regolazione repressiva dei fenomeni di marginalità e disagio sociale. I tossicodipendenti ed i clandestini – ovviamente – non godranno dei “benefici” della legge Cirami e della Legge Pittelli. Il circuito carcerario diventerà esclusivamente un circuito di segregazione per vecchie e nuove emarginazioni. Ciò comporterà un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita, fin troppo penose, delle carceri italiane.
3. destrutturazione delle garanzie di indipendenza del potere giudiziario.
L’attacco al sistema dell’indipendenza del potere giudiziario, come articolazione insuperabile del pluralismo istituzionale è – ovviamente – al centro delle preoccupazioni di una maggioranza ispirata da una visione monista del potere.
Anche in questo settore l’attacco viene portato con più strumenti. Le aggressioni verbali e medianiche e le minacce ai giudici sono un aspetto folcloristico (se pensiamo a Taormina) di questa politica che, però, non deve essere sottovalutato poiché induce reazioni di conformismo e produce intimidazione diffusa.
Nell’anno in corso l’attacco ha superato la soglia dell’intimidazione ed ha puntato a manomettere i sistemi istituzionali che garantiscono l’autonomia del potere giudiziario.
3.1. Il primo attacco è stato portato al CSM con la legge di riforma del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura (L.28 marzo 2002 n. 44 ) che si è prefissa l’obiettivo di eliminare le correnti (eliminando il voto di lista) e di ridurre la capacità operativa del Consiglio, riducendone il numero dei membri. Il primo obiettivo è platealmente fallito poiché i magistrati italiani hanno rispettato – in modo assolutamente compatto – le indicazioni di voto provenienti dalle correnti ed hanno premiato le componenti di sinistra che hanno conquistato il 50% della rappresentanza. Ciò ha fatto si che, per la prima volta nella storia del Consiglio è stato eletto Vicepresidente un membro laico non designato dalla maggioranza parlamentare. Il secondo obiettivo sta dando i suoi frutti in questi giorni, in quanto i 5 componenti laici designati dal Polo hanno in mano il numero legale e lo stanno utilizzando per boicottare l’attività del Consiglio, come dimostra la vicenda della mancata deliberazione del parere sulla legge Cirami.
3.2. il secondo e più poderoso attacco al sistema dell’indipendenza viene dalla legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario approvata il 4 marzo 2002. Nel disegno di riforma l’attacco all’indipendenza viene portato soprattutto manipolando i meccanismi della carriera, col risultato di assoggettarli ad un inedito controllo politico. La proposta si caratterizza per la progressiva esaltazione, in chiave sostitutiva del C.S.M., della Corte di Cassazione. Nella prospettiva complessivamente derivante dalle nuove norme la Cassazione diverrebbe di fatto nel corso degli anni un organo giudiziario in larga misura autocostituito secondo criteri di sostanziale cooptazione fortemente influenzata dal potere esecutivo. Alla Cassazione, oltre al normale compito di decidere definitivamente ogni processo in quanto giudice di ultima istanza, sarebbe impropriamente attribuito anche il potere di incidere profondamente sugli sviluppi di carriera di ogni singolo magistrato e di determinare con largo anticipo i quadri dirigenti della futura magistratura. Al Csm viene inoltre radicalmente sottratta la attività di formazione per attribuirla alla Cassazione.
Com’è noto la proposta è stata fortemente contrastata dall’ANM ed ha portato allo sciopero dei magistrati del 20 giugno. Tuttavia, prima ancora di diventare legge sta già producendo i suoi frutti. Basti pensare alla provvidenziale (per Berlusconi) ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione che hanno “salvato” l’istanza di remissione dei processi di Milano, rimettendo la questione innanzi alla Corte Costituzionale e concedendo così al Polo l’opportunità di presentare la proposta di legge Cirami.
Il problema – a questo punto – è quello di avere una visione di insieme perché si è in presenza di una strategia globale, che richiede una risposta globale. Si tratta di capire i nessi fra le questioni sociali, le questioni ambientali, le questioni istituzionali ed i diritti di libertà e sviluppare una strategia politica consapevole delle interazioni fra tali questioni. Lo Stato sociale di diritto non si può difendere a spicchi. Per questo la lotta per la giustizia è una componente essenziale della lotta per i diritti sociali e di libertà e viceversa.