E’ passato un anno dalla scomparsa di Sergio Garavini, avvenuta il 7 settembre 2001, ma le sue intuizioni politiche ed i suoi insegnamenti sono più vivi che mai.
Anzi proprio in questa stagione, che si preannunzia di lotta e di speranza, di ripresa attiva della partecipazione popolare sullo sfondo, dei disastri provocati dalla desertificazione della politica, causa – non ultima – della resistibile ascesa del regime berlusconiano, la proposta politica di Sergio Garavini si rivela di estrema attualità.
Per Garavini l’essenza della democrazia politica è la partecipazione ed il significato di un moderno discorso socialista è quello di “fare appello alla soggettività sociale, portarla verso la conquista degli spazi occupati dalle istituzioni, proiettarla in forme reali di autogestione sociale e di partecipazione democratica” Di qui la critica – che rappresenta un motivo dominante del pensiero e dell’impegno politico di Sergio Garavini – allo statalismo delle sinistre e la sua proposta prioritaria di tornare nella società. Garavini si rende conto che il punto di caduta del progetto di democrazia scaturito dalla Costituzione del 47 è nella crisi del partito politico di massa, concepito, nel disegno costituzionale, come la linfa vitale, il principale connettore, fra le istituzioni e la società dei cittadini, la fornace che alimenta la democrazia politica e porta lo Stato nella società e la società nello Stato. Ed egli giustamente percepisce la crisi del partito come crisi della democrazia. Di qui la sua critica al sistema elettorale maggioritario e a quei progetti di riforma istituzionale che miravano a blindare gli esecutivi, sterilizzando la partecipazione popolare.
Garavini era consapevole che le proposte di sistema elettorale maggioritario, seppure finalizzate al potere ed alla stabilità dell’esecutivo, erano soprattutto rivolte a “consolidare e potenziare la forma attuale dei partiti, i quali hanno sempre più perduto il carattere di formazione democratica di massa, per accentuare il ruolo dominante dei gruppi dirigenti e dei leaders in stretta relazione con i poteri istituzionali a tutti i livelli. Ai partiti – osserva Garavini – si garantisce una rappresentanza nel Parlamento designata e gestita dai gruppi dirigenti, insindacabile dagli elettori, che possono solo votare o la singola persona nei collegi uninominali o così com’è la lista di partito nel voto proporzionale. Vi è su questo punto, di fatto, l’accordo generale, perché questa soluzione propone una fuga alla crisi dei partiti come forme di democrazia di massa, come espressione diretta ed organizzata di esigenze della società, dunque di mediazione reale fra la società e le istituzioni. E ne convalida e cristallizza sia il ruolo integralmente di potere istituzionale, sia il regime interno di autorità dei gruppi dirigenti e dei leaders ”
Contro la crisi del partito come forma di democrazia di massa, Garavini non si affidava alle alchimie del potere proposte dagli apprendisti stregoni che evocavano le riforme istituzionali, ma propugnava il ritorno alla società ed alla politica.
Proprio per questo si rendeva conto che l’avvento di questa destra al governo, in questo contesto internazionale, sarebbe stato una catastrofe politica in quanto avrebbe inciso profondamente sulla cifra democratica delle istituzioni, pregiudicando proprio la possibilità di mantenere aperti i percorsi di comunicazione fra la società e lo Stato. Bisognava mantenere aperta quella porta, che molti, a destra come a sinistra, volevano chiudere. Occorreva, perciò, anteporre la difesa delle istituzioni ad ogni, sia pur legittimo, interesse di partito. Su questo terreno Garavini fu capace di andare avanti a costo di una rottura definitiva col partito del quale era stato segretario e pagò – per le sue scelte – un prezzo durissimo in termini di emarginazione politica.
Eppure la testarda battaglia condotta da Sergio Garavini, che aveva come sua stella polare l’avvio di un processo di rinnovamento e di ricomposizione politica a sinistra, che, pur rispettando i partiti esistenti, consentisse di superare la frammentazione ricomponendola nel quadro di una identità programmatica comune, avente al centro i diritti del lavoro e la partecipazione popolare, sconfessata dai leaders dei DS e da Rifondazione, oggi è diventata di estrema attualità, anzi è l’unica pista per il futuro.
Oggi, dopo la più imponente manifestazione sindacale della storia della Repubblica, il 23 marzo del 2002, chi potrebbe dubitare che la ricomposizione dei diritti del mondo del lavoro, nel suo complesso, non debba essere al centro della proposta politica della sinistra?
Oggi, dopo che Rifondazione e gli asfittici partiti del centro sinistra sono stati convocati dai movimenti al girotondo del 14 settembre per la difesa delle istituzioni democratiche, chi potrebbe dubitare che si deve costruire un fronte comune, politico, programmatico ed elettorale, per salvare il nostro paese dal giogo della barbarie che avanza?
Oggi Sergio Garavini è vivo e lotta con noi.
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Le citazioni sono tratte da Sergio Garavini, Ripensare l’illusione, Rubettino, 1999, pagg. 56, 63