Il mondo sembra precipitato in un incubo senza fine. Viviamo in un tempo drammatico nel quale alle fitte tenebre che sono calate all’orizzonte della Comunità internazionale corrisponde un buio ancora più fitto nello scenario della nostra nazione.
Il nostro Paese nei quasi 60 anni che ci separano dalla liberazione, ha vissuto anni difficili, contingenze drammatiche, crisi profonde, eventi luttuosi, ma un attacco così profondo, pervicace ed insidioso ai connotati stessi della democrazia, come concepita nel progetto costituzionale, non si era mai verificato. Il sovversivismo delle classi dirigenti, che ha sempre insidiato la democrazia politica in Italia, non si era mai spinto così avanti. Fino al punto da mettere in cantiere la costruzione di un regime, demolendo quei capisaldi della libertà rappresentanti dalla separazione dei poteri e dal pluralismo nel sistema della comunicazione.
Il fenomeno Berlusconi rappresenta un “unicum” è non può essere assimilato alle altre esperienze di destra sviluppatesi nei paesi di democrazia occidentale. E’ un’invenzione italiana, come lo fu, del resto il fascismo, e dal fascismo trae la sua ispirazione di fondo: la concezione totalitaria del potere e l’attitudine a costruire un consenso passivo di massa attorno alla figura del Capo politico, attraverso abili tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica, fondate sul controllo quasi totale dei mezzi di comunicazione.
Questo cancro andava estirpato sin dall’origine, costruendo un muro, una diga politica che ne impedisse il ritorno al potere da dove faticosamente era stato sloggiato all’inizio del 1995.
Sono state proprio le scelte sbagliate compiute nel 1995, che hanno portato alla prima frattura nel partito della Rifondazione comunista, con l’allontanamento del compagno Sergio Garavini, che hanno preparato al strada al disastro del 2001. L’abbandono della impostazione politica ed ideale che aveva dato luogo alla nascita, il 3 febbraio del 1991, dell’esperienza di Rifondazione comunista, ha portato alla nascita, nel 1998, del partito dei Comunisti italiani, che sono nati proprio per contrastare la deriva a destra del nostro paese, ripristinando i valori della tradizione comunista che pone il bene pubblico della nazione al di sopra di ogni, sia pur legittimo, interesse di partito.
Bisogna riconoscere che questo tentativo non ha avuto successo, non certo per l’ostinazione di Rifondazione, alla quale, anzi, bisogna dare atto di aver saputo realizzare una svolta politica effettiva, volta a recuperare una impostazione unitaria nella lotta al regime. Le responsabilità stanno da un’altra parte. Quali che siano le colpe di Berlusconi, non si può negare che l’architrave fondamentale che reggeva l’edificio della democrazia politica nel nostro paese è stato incrinato, nell’ultimo decennio, dalla azione sciagurata di forze politiche del centro e della sinistra moderata.
L’introduzione di sistemi elettorali maggioritari è stata la risposta sbagliata ad una crisi reale della forma partito. Da questa crisi i gruppi dirigenti dei partiti democratici hanno cercato di uscire consolidando il loro ruolo di potere interno e sterilizzando la partecipazione popolare. Il risultato delle alchimie degli apprendisti stregoni, che hanno manomesso il sistema della rappresentanza, è stato che, nel 2001, la c.d. Casa delle libertà con soli 400.000 voti di vantaggio rispetto alla coalizione dell’Ulivo si è aggiudicata oltre cento seggi in più alla Camera, mentre milioni di voti sono andati dispersi e rimasti privi di rappresentanza.
Dietro la manipolazione del sistema elettorale c’è un’istanza di semplificazione autoritaria della democrazia, di cui non può essere incolpato Berlusconi. Non a caso i referendum contro quel che rimane del sistema elettorale proporzionale proposti nel 1999 e nel 2000 puntavano a trasformare l’alleanza dell’Ulivo in un partito unico e ad eliminare la concorrenza politica a sinistra, cancellando Rifondazione. Quando alle elezioni Europee si propone, contro ogni logica politica, una lista unica, non si punta a rafforzare un’alleanza fra le forze democratiche, ma ad affondarla, facendo emergere la non sopita aspirazione ad un partito unico che, oltre a comportare una compressione inaccettabile del pluralismo, cancellerebbe la rappresentanza politica del mondo del lavoro e finirebbe per azzerare ogni dimensione critica al pensiero unico.
Ed allora, di fronte alle sfide così dure che ci attendono, il punto di partenza deve essere l’azione per restituire dignità alla politica ed ai partiti. Non saranno manovre di vertice, improbabili strategie di gruppi dirigenti (come fusioni, cancellazioni o concentrazioni a tavolino di partiti), o ulteriori alchimie istituzionali (come l’espunzione del proporzionale anche dalle elezioni europee) che ci potranno salvare. Solo la politica ci può salvare. La politica nella sua dimensione di virtù civile, fondata sulla partecipazione popolare e sulla rappresentanza liberamente determinata. La politica che sappia uscire fuori dal gioco meschino, che l’ha ridotta ad una mera tecnica competitiva per la conquista del potere e recuperare la sua missione originaria: quella di indicare un orizzonte nel quale una comunità umana possa riconoscersi ed organizzare un cammino comune nella dimensione della speranza.