E’ durata poche ore la “verità ufficiale” del Governo spagnolo sulla responsabilità degli attentati dell’undici marzo, travolta dalle indagini della polizia e dalle rivendicazioni di sigle terroristiche islamiche. Il maldestro tentativo del Governo Aznar di trovarsi un responsabile di comodo e di accreditare una “verità di Stato” sul massacro, lascia trapelare lo sgomento di dover fare i conti con le conseguenze delle proprie sciagurate scelte di politica internazionale.
L’orrore che suscita la strage di Madrid è universale, come universale è l’esecrazione di questo attacco terroristico, folle e frutto di una logica infernale.
La semplice esecrazione però, essendo del tutto ovvia, politicamente non porta da nessuna parte. Proporre una grande manifestazione contro il terrorismo che accomuni le forze politiche che hanno deciso di servire le ragioni della guerra preventiva e permanente, fino al punto da offrire un contributo di sangue, a Nassiriya, per testimoniare la fedeltà all’alleato americano, con tutti coloro che si battono contro la restaurazione della guerra e dei suoi orrori, oltre che un non senso, è un grave errore politico perché non aiuta a fare chiarezza. Soprattutto non aiuta la politica a fare i conti con la responsabilità delle proprie scelte.
Dopo i fatti di Madrid, noi siamo costretti a constatare, con i nostri corpi, con il nostro sangue, dove ci ha portato una stagione della politica che ha dilapidato in pochi anni il capitale di speranze e le prospettive di pace che la fine della guerra fredda aveva consegnato all’umanità.
Oggi quell’avvenire (che ci avevano promesso) è già passato. Lo stato ordinario della nostra vita, del nostro tempo non è più uno stato di pace.
Al tempo della guerra permanente, la pace è un accidente, la condizione ordinaria è quella della guerra, cioè di uno stato in cui i nostri diritti fondamentali, la nostra stessa vita sono precari e minacciati. Adesso si cerca di far accettare questo stato all’opinione pubblica come se fosse lo stato naturale delle cose, della vita delle società politiche, fino al punto che un Presidente degli Stati Uniti, in crisi di consenso elettorale, si presenta ai suoi elettori, fregiandosi della qualifica di essere un “Presidente di guerra”.
Se lo stato in cui siamo immersi è uno stato di guerra, allora possiamo addolorarci, ma non possiamo stupirci di quello che è avvenuto a Madrid. La guerra si fa con la violenza e produce sofferenza, distruzione e morte.
Se si vuole dire no al terrorismo che ha seminato i suoi lutti a New York, a Mosca, ad Instambul, a Madrid, ed in tanti altri posti, a noi sempre più vicini, allora bisogna dire no alla guerra ed a tutte quelle scelte politiche concrete, portate avanti da leaders politici in carne ed ossa come Bush, Blair, Aznar e Berlusconi, che hanno restaurato la guerra come strumento della politica. al servizio dell’Occidente, per realizzare degli obiettivi politici che, a differenza della giustizia, della solidarietà e della cooperazione, non possono essere perseguiti con metodi pacifici.
La dura lezione dei fatti ha fatto tramontare l’illusione che la soverchiante potenza militare occidentale potesse concederci il lusso di condurre delle guerre senza morti (occidentali), senza costi politici ed umani da pagare, delle guerre che coinvolgessero soltanto gli altri.
Qui entra in gioco il problema della responsabilità della politica.
L’umanità, nel corso della prima metà del secolo scorso, ha sperimentato con le due guerre mondiali, con Auschwitz, con Hiroshima, una vera e propria discesa agli inferi. Nel 1945 i leaders delle principali potenze alleate, per necessità storica, hanno deciso di chiudere la porta dell’inferno, sbarrandola con pesanti lastre di ferro. Quelle lastre si chiamano ripudio della guerra, astensione dalla minaccia o dall’uso della forza nelle relazioni internazionali, eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, risoluzione pacifica delle controversie, cooperazione internazionale per lo sviluppo.
Dopo l’89 si sono sviluppate delle politiche tese a riaprire quella porta ed a rimuovere (per le Potenze occidentali) l’interdizione dell’uso della forza nelle relazioni internazionali.
Così la politica ha aperto abusivamente dei buchi nelle lastre di ferro che coprivano l’orrore, usando grimaldelli vari, fra i quali – addirittura – la pretesa che la guerra potesse essere umanitaria.
Con l’aggressione e l’occupazione militare dell’Irak, la porta è stata spalancata.
Se si apre la porta dell’inferno si mettono in circolazione delle forze infernali, che producono eventi infernali come quello di Madrid.
Oggi quegli stessi apprendisti stregoni, che hanno trafficato con le bombe, con il sangue, con la violenza e con la morte, sono sgomenti per averne perso il controllo.
La manifestazione contro la guerra del 20 marzo, costituisce la migliore risposta e la migliore occasione perché l’opinione pubblica mondiale imponga a coloro che reggono gli Stati e le Nazioni di chiudere quella porta, prima che sia troppo tardi.