15 ore: sono state concesse 15 ore di tempo all’Assemblea dei Senatori per discutere e votare i 57 articoli attraverso i quali la Costituzione della Repubblica italiana, elaborata dall’Assemblea Costituente nel 1947, viene gettata alle ortiche e sostituita da una nuova Costituzione, partorita mirabilmente dalla testa dei famosi “tre saggi di Lorenzago”, in virtù del telemandato ricevuto dai capi della maggioranza.
Per una strana congiuntura astrale, l’operazione di demolizione dell’ordinamento democratico e la sua sostituzione con l’”ordinamento di Lorenzago”, prefigurato fra fiumi di grappa, è avvenuta durante una fase di eclissi della politica, che ha consentito ai nuovi “padrini” della Costituzione (non possiamo chiamarli “padri” per non confonderli con quelli veri) di portare avanti il loro misfatto, lavorando al buio, mentre il paese distratto pensava ad altro. Tanto che, ogni volta che si riaccendeva il dibattito parlamentare, per cui i giornali non potevano proprio fare a meno di parlarne, il problema veniva liquidato con la formula mendace del “federalismo”. Tutt’al più qualcuno usava l’espressione “devolution”, di oscuro significato per gli italiani, che però suona bene, come tutte le parole della “neolingua”.
Nei paesi normali, la Costituzione è una cosa che conta. Se qualcuno vuole cambiare la Costituzione normalmente si avvia un grande dibattito politico che esce fuori dalle stanze degli addetti ai lavori e coinvolge tutto il popolo, nella sue articolazioni sociali, culturali e politiche.
Del resto la radice profonda della Costituzione italiana sta in un grande movimento popolare, la resistenza.
Essa è stata scritta – come ci racconta Calamandrei – grazie al lavoro di coloro che hanno testimoniato, con la resistenza e la morte, la fede nella giustizia e nella dignità dell’uomo. La sua nascita è stata accompagnata da un confronto ed un dibattito politico che ha appassionato milioni di uomini e donne.
Ed allora dobbiamo porci la domanda, com’è possibile abrogare l’ordinamento che ha caratterizzato quasi sessanta anni della nostra storia, e sostituirlo con un nuovo ordinamento, confezionato a misura di Caudillo (per Berlusconi), demolendo anche l’integrità nazionale (per gradimento di Bossi), senza che si apra nel paese un grande dibattito politico sulla natura, i valori ed i fini del cambiamentoproposto?
Non è la Costituzione la legge fondamentale che regola la vita di un popolo organizzato in comunità politica?
Se ciò accade, non vale strapparsi le vesti, recitando la solita litania sulla inammissibile concentrazione dei mezzi di informazione. Qui non è in gioco soltanto il problema del controllo ferreo che fanno taluni dei mezzi di informazione di cui si sono appropriati.
È la politica che si è distratta.
Sul piano dei contenuti, tutti i partiti dell’Unione hanno respinto il disegno di riforma della Costituzione proposto dal Governo, ma nessuno ha alzato il tono dello scontro politico ed ha messo la Costituzione, vale a dire la difesa della Costituzione repubblicana, al centro del confronto politico e della mobilitazione popolare.
Eppure anche in politica è necessaria una scala di valori per dare senso all’agire umano.
Al primo posto nella scala dei valori della politica ci deve essere la salvezza della Repubblica, cioè la salvezza di quei beni pubblici (come la democrazia parlamentare, l’universalità dei diritti e l’indivisibilità dell’Italia) che i costituenti hanno donato al popolo italiano, facendo tesoro delle dure lezioni della storia.
Gli strateghi del marketing della comunicazione hanno fissato per l’8 Marzo la data del voto finale, attraverso il quale il Senato espianterà il corpo della vecchia Costituzione e lo sostituirà con la “carta di Lorenzago”, completando la prima lettura della riforma (che potrebbe diventare legge l’8 giugno). L’8 marzo, festa della donna, gli italiani e le italiane pensano ad altro.
E se pensassero alla Costituzione?