Le pratiche del Sismi contro la magistratura “nemica” vivevano nel contesto del governo Berlusconi e del superamento della Costituzione. Parlare di “regime” non era così lontano dalla verità dei fatti
Bisogna dare atto che il Csm, con la delibera adottata il 4 luglio, a “tutela” dei magistrati italiani oggetto delle attenzioni del Sismi, ha rotto un silenzio istituzionale divenuto ormai imbarazzante.
La vicenda dello spionaggio effettuato dal Sismi nei confronti di magistrati italiani e stranieri, della Anm, di Magistratura democratica e dell’Associazione europea Medel (oltre che nei confronti di altri personaggi impegnati nella vita politica o nelle istituzioni) presenta aspetti istituzionali inquietanti che, tuttavia, non possono essere compresi a pieno, se non si prende in considerazione l’intero quadro generale in cui tale vicenda è inserita. L’attività di dossieraggio dei servizi segreti non è cosa nuova nella storia della Repubblica. Basti pensare al Sifar di De Lorenzo che nel giro di tre anni, a partire dal 1956, raccolse circa 157mila fascicoli, mettendo sotto controllo non solo gli esponenti politici dell’opposizione, ma tutte le figure che avevano un ruolo sociale, come i sindacalisti ed i sacerdoti, nonché un intero settore del partito di governo (la sinistra democristiana), considerato poco affidabile.
Si trattava di un “bubbone” che sottoponeva a “libertà vigilata” l’esercizio della vita democratica nel nostro paese negli anni difficili del dopoguerra e della guerra fredda. Però in quegli stessi anni, funzionavano degli antidoti forti al golpismo degli apparati: i partiti di massa, che organizzavano la partecipazione popolare alla vita democratica, un Parlamento rappresentativo, ed un sistema elettorale proporzionale. All’interno della classe dirigente dell’epoca, il potere non era concentrato nelle mani di un solo uomo ed i decisori politici non aspiravano all’onnipotenza. Nella passata legislatura abbiamo vissuto una crisi politica, istituzionale e costituzionale senza precedenti, in quanto è andata al governo una classe dirigente, composta da un misto di fascisti, affaristi ed avventurieri, portatrice di valori e di una cultura politica antitetici ai principi costituzionali ed alle regole dello Stato di diritto.
Si è molto discusso se fosse applicabile al sistema di governo Berlusconi la definizione di “regime”. Quello che è certo è che il suo leader ed i suoi compagni di viaggio si sono dedicati, anima e corpo all’impresa di costruire un regime, perseguendo una visione monistica delle istituzioni, fino ad arrivare al punto da far votare, da una maggioranza parlamentare collusa, una nuova Costituzione nella quale venivano concentrati nelle mani del Capo politico, poteri superiori a quelli che Mussolini aveva attribuito a sé stesso con la riforma del 1925 che introdusse il regime fascista (L. 27/12/1992 n.2263). Non è privo di significato il fatto che questo governo abbia iniziato il proprio debutto politico con i fatti di Genova del luglio del 2001. Genova ha dimostrato l’aspirazione ed al contempo l’attitudine ad un uso squadristico delle forze dell’ordine, di tipo cileno, contro l’opposizione sociale, come non era avvenuto neppure nei periodi più bui dello scelbismo. Però ha anche dimostrato che il progetto politico sotteso a tali fatti non risultava praticabile perché il sistema di governo non riusciva a garantire una condizione imprescindibile per far funzionare questo nuovo metodo di governo dell’ordine pubblico: l’impunità. Se a ciò si aggiunge l’esigenza vitale dell’impunità per Berlusconi e gli uomini della sua corte, come Previti, Dell’Utri ed altri, allora si può comprendere come la stella polare che ha guidato la politica istituzionale del precedente governo sia stata quella di rimuovere lo “scandalo” del potere diviso. Vale a dire l’esistenza di un sistema di controllo di legalità e di amministrazione della giustizia che, pur con tutti i suoi difetti, conservava il pregio di essere indipendente, cioè non assoggettabile al controllo dei decisori politici. Quindi Berlusconi ed i suoi consiglieri di regime, con in testa il ministro della Giustizia Castelli, si sono dedicati anima e corpo all’impresa di cancellare quella articolazione insopprimibile del pluralismo istituzionale, rappresentata dal sistema dell’indipendenza della magistratura, che i Costituenti, nella loro saggezza, hanno concepito come effettiva ed insuperabile. Questo obiettivo fondamentale è stato perseguito con una molteplicità di strumenti ed una varietà di rimedi. Mentre, da un lato, con le leggi ad personam , come la legge sulle rogatorie (la legge Cirami), la legge sul falso in bilancio, la legge sulla immunità giurisdizionale del Presidente del Consiglio (il c.d. lodo Schifani che giustamente la Corte Costituzionale ha cancellato), si affrontavano le questioni urgenti, con altri provvedimenti, come la riforma dell’ordinamento giudiziario, si cercava di trovare una soluzione di sistema, creando le condizioni per rendere inefficace, in futuro, il controllo di legalità nei confronti dell’esercizio del potere. Contemporaneamente il Presidente del Consiglio usava il manganello mediatico, con aggressioni verbali inusitate, rivolte alla magistratura nel suo complesso, a singoli magistrati ed a Magistratura democratica. Non bisogna dimenticare che il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, nella sua versione più hard (il c.d. emendamento Bobbio), metteva sostanzialmente fuori legge le associazioni dei Magistrati, come l’Anm, Md e Medel, in quanto ai magistrati veniva proibito farne parte, sotto pena di sanzioni disciplinari. Soltanto il fascismo si era spinto a tanto. Infatti aveva messo fuori legge l’Associazione generale dei magistrati italiani ed aveva espulso dalla magistratura i magistrati che l’avevano diretta, avvalendosi di una legge speciale (24 dicembre 1925 n. 2.300) che aveva disposto la dispensa dal servizio dei magistrati che: “per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori ufficio non dessero piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si ponessero in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo”. Ma non ci sono stati solo progetti di legge contra constitutionem , ci sono state anche attività più concrete, come dimostra la vicenda dell’archivio sequestrato nel covo di Pio Pompa. Le aggressioni pubbliche di Berlusconi hanno trovato un inevitabile riscontro istituzionale nelle liste di proscrizione del Sismi che si proponeva di “neutralizzare” e “disarticolare”, anche con “azioni traumatiche” due categorie di magistrati considerati nemici del Premier: quelli che per dovere del loro ufficio effettuavano il controllo di legalità sugli abusi del potere (mani pulite), e quelli attivi nell’associazionismo che difendevano le ragioni dello Stato di diritto. In questo caso è inutile chiedersi chi a dato ordine a chi. Res ipsa loquitur , i fatti parlano da soli.