La riforma dell’ordinamento dei Servizi segreti (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto) approvata in via definitiva dal Senato il 1° agosto, è stata accolta con grande soddisfazione per l’unanimità raggiunta in Parlamento su una materia così sensibile per la qualità della vita delle istituzioni.
Se l’unanimità costituisce indubbiamente un valore aggiunto perché rafforza la supremazia della legge come espressione della volontà del Parlamento e non di una contingente maggioranza politica, non c’è dubbio che il laborioso lavoro di armonizzazione di posizioni ed esigenze politiche differenti, che ha prodotto l’unanimità dei consensi, sconta una trama di mediazioni, con luci ed ombre. Pertanto ad aspetti fortemente positivi, innovativi e garantistici, se ne affiancano altri più problematici, ivi compresi i buchi neri delle questioni che sono state rimosse.
La riforma sostanzialmente si ispira ad un progetto elaborato nel 1997, nel corso del primo Governo Prodi, da una Commissione interministeriale presieduta dal generale Roberto Jucci. La Commissione terminò i suoi lavori nel novembre dello stesso anno, licenziando un testo di riforma complessiva della materia accompagnato da una approfondita relazione, che chiariva le scelte effettuate e le esigenze che le avevano dettate. Il lavoro prodotto dalla Commissione fu inserito sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma la proposta di riforma non fu mai presentata alle Camere, né dal Governo Prodi, né dal Governo D’Alema, né dal Governo Amato, né fu ripresa dal successivo Governo Berlusconi. Probabilmente perché conteneva delle scelte troppo innovative (come quella di sostituire tutto il personale in servizio) che incidevano profondamente sugli assetti di potere in atto.
Le idee guida del progetto Jucci, depurate, però, delle novità più incisive, sono state riprese nel disegno di legge approvato dal Parlamento.
Uno degli aspetti profondamente positivi della riforma è che essa ha affrontato il nodo –lasciato irrisolto dalla riforma del 1977 (L.801/77) – di una disciplina organica del segreto di Stato e della classificazione dei documenti. In questo contesto, la scelta veramente innovativa è stata quella di introdurre il principio della temporaneità della secretazione, assoggettando i documenti segretati a meccanismi automatici di declassifica con il passare del tempo, che dovrebbe far venir meno il segreto nel termine di 15 anni, prorogabile a 30. Per quanto riguarda la disciplina processuale dell’opposizione del Segreto di Stato, è stato ribadito il sistema attuale che prevede che il segreto opposto all’Autorità Giudiziaria debba essere confermato dal Presidente del Consiglio con una significativa riduzione da 60 a 30 giorni del termine assegnato al Presidente del Consiglio. Ma la novità più significativa è la esplicita previsione della possibilità dell’Autorità Giudiziaria, a cui viene opposto il segreto, di sollevare conflitto di attribuzione innanzi alla Corte Costituzionale. C’è da rilevare, però, che la riforma ha omesso di incidere con il bisturi sul bubbone delle pratiche illegali in tema di accordi internazionali segreti. Rimane sul tavolo l’esigenza di completare la disciplina del segreto, interdicendo esplicitamente la possibilità di stipulare accordo internazionali segreti, frutto di una prassi tanto palesemente incostituzionale, quanto difficile da debellare.
Per quanto possa sembrare paradossale, anche il capitolo delle c.d. “garanzie funzionali”, che introduce, per gli operatori del servizio, una limitata licenza di commettere fatti-reato, è ispirato ad una logica garantista, perché viene sancita l’inammissibilità di ogni condotta diretta “a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone”. Questo significa una radicale delegittimazione delle politiche di contrasto al terrorismo internazionale o ad altre minacce effettuate con i metodi di Guantanamo, nonché degli accordi internazionali segreti, come quelli stipulati in sede NATO il 4 ottobre 2001 con i quali taluni paesi europei si sono impegnati a collaborare alla politica delle “extraordinary renditions “ praticate dalla CIA, che hanno dato luogo in Italia alla vicenda Abu Omar. (si veda in proposito la seconda relazione dell’on. Dick Marty al Consiglio d’Europa in data 11/6/2007).
Infine il capitolo più positivo è il decisivo rafforzamento del ruolo del Comitato Parlamentare di controllo sui Servizi Segreti. La disciplina del controllo parlamentare è dettagliata, abbastanza penetrante e consente al Comitato parlamentare di giocare un ruolo effettivo, in funzione di controllo politico, non più decorativo, come avviene adesso. In particolare è importante che al Comitato venga consentito il controllo sul bilancio e persino sulla documentazione di spesa, mediante la possibilità di accesso agli archivi centrali e che il Comitato sia messo a conoscenza delle operazioni extralegali autorizzate. Il limite di questa disciplina, che mette in pericolo l’efficacia del lavoro del Comitato, è l’assenza della unica sanzione effettiva per i casi di violazione del segreto da parte dei parlamentari, vale a dire la decadenza dal mandato.
Gli aspetti problematici delle riforma sono quelli che riguardano l’eccessivo accentramento di funzioni e di poteri nella mani del Presidente del Consiglio. In particolare desta preoccupazione il fatto che le due Agenzie, l’AISE e l’AISI, che sostituiranno rispettivamente il SISMI ed il SISDE, dipendano anche funzionalmente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, essendo esclusa la competenza funzionale del Ministero della Difesa e di quello dell’Interno. In questo modo si smantellano due incrostazioni di potere burocratico (riconducibili ai Ministeri della Difesa e dell’Interno), ma se ne crea una sola nella quale si può concentrare un potere politico-burocratico enorme. Insomma si sacrificano le burocrazie, ma si sacrifica ancor di più il pluralismo istituzionale. Inoltre, per quanto riguarda la responsabilità politica, è evidente che il Presidente del Consiglio dei Ministri non è un Superman, quindi non può esercitare una direzione politica effettiva degli apparati. Il rischio è quello di creare un sistema di apparati autocefali, in cui la testa sta nell’apparato stesso, venendo così cancellata o ridotta la funzione di responsabilità e controllo dell’autorità politica. Sul versante opposto si colloca il rischio di creare un Presidente-padrone dei servizi di sicurezza. Nell’ipotesi, non del tutto remota, che la funzione di Presidente del Consiglio, in futuro, possa essere riattribuita ad un uomo del passato, il rischio che possano riprendere le vecchie pratiche, quando i servizi venivano utilizzati come polizia segreta a servizio del capo politico, non sarebbe una mera congettura.
Infine, rimane il capitolo delle cose non dette. Una volta affrontata una riforma organica dell’ordinamento della sicurezza, sarebbe stata questa l’occasione propizia per fare pulizia e tirare fuori gli scheletri dall’armadio, creando una disciplina ad hoc per l’emersione degli innumerevoli episodi eversivi che hanno attraversato la storia della Repubblica. Purtroppo le proposte avanzate dai deputati e senatori di Rifondazione nel corso della discussione parlamentare sono state lasciate cadere. In questo c’è una grave responsabilità degli altri partiti dell’Unione.
Quanti anni ancora dovremo aspettare per conoscere la verità sulle stragi di Stato?