Il 28 novembre, quando l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione ha dichiarato la legittimità di tutte e tre i quesiti del referendum elettorale, è stata accesa la miccia di un ordigno destinato inevitabilmente a deflagrare nell’ordinamento politico italiano nella prossima primavera, a meno che non ci sia un intervento salvifico della Corte Costituzionale, chiamata, per legge, a pronunziarsi sull’ammissibilità delle richieste dei referendari entro il 20 gennaio.
Dopo la manomissione dell’ordinamento costituzionale della Repubblica operato nella passata legislatura, con la riforma Calderoli, duramente sconfitta dal voto popolare del 25/26 giugno 2006, il referendum “Guzzetta” rappresenta il più insidioso attacco alla democrazia costituzionale che sia mai stato portato avanti nel tempo della Repubblica.
Le leggi elettorali, infatti, anche se non sono di rango costituzionale, concorrono a determinare la “costituzione materiale”, delineando la fisionomia del sistema politico, sia per quanto riguarda l’esercizio concreto della rappresentanza, sia per quanto riguarda la forma di governo.
Non v’è dubbio che l’originario assetto della democrazia costituzionale, come concepito nella Costituzione del 47, sia stato profondamente sfigurato dalla riforma della legge elettorale in senso maggioritario, introdotta a seguito dello sciagurato referendum Segni del 18 aprile 1993, a cui la Corte costituzionale si arrese con una infelice decisione (n. 32/1993).
Dopo che il nostro paese ha sperimentato per tre legislature un sistema elettorale prevalentemente maggioritario (c.d. Mattarellum), anche le persone più semplici che nel 1993 approvarono il referendum sull’onda dei miti e delle suggestioni diffuse, a piene mani, dai mass media, si sono rese conto che questo sistema, che ha introdotto una sorta di “bipolarismo coatto”, producendo una artefatta rarefazione della rappresentanza sociale, non ha certo diminuito il numero dei partiti, né il potere delle loro burocrazie, né la loro litigiosità, né ha avvicinato i cittadini ai loro rappresentanti. Anzi ha favorito la torsione oligarchica del sistema politico, favorendo il congedo delle classi popolari dalla politica.
Con l’approvazione, nella passata legislatura di una nuova legge elettorale apparentemente proporzionale (la legge n. 270 del 2005), con premio di maggioranza, il c.d. “porcellum”, è stato portato a compimento il processo di involuzione oligarchica dell’ordinamento politico, avviato con il maggioritario, espropriando gli elettori della benché minima possibilità di concorrere a determinare la composizione della rappresentanza politica in Parlamento.
Infatti nella ultima consultazione elettorale, gli elettori hanno perso ogni residua possibilità di correggere od interloquire con le scelte operate dagli apparati di partito. Con il paradosso che tutti i “rappresentanti” del popolo sono stati nominati dai dirigenti dei partiti ovvero dal padrone del partito-azienda. Agli elettori, attraverso la differenziazione del voto fra liste concorrenti, è stato attribuito soltanto un potere di arbitrato fra i vari capi politici in ordine al numero di rappresentanti di cui ciascuno poteva disporre.
In questo modo il principio costituzionale della rappresentanza, attraverso la quale i cittadini concorrono a determinare la politica nazionale, ha subito il massimo svuotamento possibile, aggravando ancor di più la crisi costituzionale italiana, il cui cuore è costituito dal distacco dei cittadini dalla politica del Palazzo, espropriata da un ceto politico che viene qualunquisticamente percepito come una “casta”.
In questa situazione così compromessa, è mai possibile che il referendum Guzzetta possa fare ulteriori danni? Purtroppo è così.
Questo referendum, utilizzando la tecnica manipolativa (di dubbia ammissibilità costituzionale) già adoperata dai precedenti referendum Segni, non si limita ad abrogare qualche parte della legge Calderoli, ma delinea un nuovo sistema elettorale, che si differenzia da quello attuale su una questione fondamentale. Esso prevede che il premio di maggioranza, tanto alla Camera quanto al Senato, non sia attribuito alla coalizione che raccoglie il maggior numero di voti, bensì alla singola lista che raccolga anche un voto in più rispetto ad ogni altra lista.
E’ bene rilevare che un sistema elettorale del genere non esiste in alcun ordinamento di democrazia occidentale, ma non è inusitato nel nostro paese. Esso assomiglia, infatti, come si possono assomigliare due gocce d’acqua, al sistema elettorale introdotto con la Legge 18 novembre 1923, n. 2444, più nota come legge “Acerbo”, dal nome del Vice Presidente del Consiglio del primo Governo Mussolini. La legge Acerbo era una legge elettorale proporzionale che prevedeva l’assegnazione di un forte premio di maggioranza alla lista che avesse ottenuto il maggior numero di voti su base nazionale, rispetto ad ogni altra lista.
Le uniche differenze sono date dal fatto che la legge “Acerbo” prevedeva un premio di maggioranza schiacciante (75%), mentre la legge “Guzzetta” prevede un premio di maggioranza più contenuto (54%). Prevedeva, inoltre una soglia minima (il 25%) dei voti validi e lasciava agli elettori la possibilità di esprimere un voto di preferenza, garanzie che non esistono nella legge “Guzzetta”.
La legge Acerbo è stato lo snodo tecnico, preliminare ma indispensabile, per l’instaurazione della dittatura fascista. Con essa, infatti, Mussolini ottenne due risultati importanti, aggredì il pluralismo politico, facendo scomparire nel listone presentato alle elezioni del 5 aprile 1924, ogni altra identità o formazione politica che potesse fargli concorrenza, e rese irrilevante la presenza in Parlamento dei suoi oppositori, introducendo una sorta di dittatura della maggioranza. Il passo successivo per la trasformazione in regime avvenne con le leggi speciali del 1925, che non ci sarebbero potute essere se la Camera dei deputati avesse avuto una composizione rispettosa del pluralismo politico. La legge “Guzzetta” otterrebbe lo stesso effetto di quasi cancellare il pluralismo politico e di consentire al Capo del partito beneficiato dal premio di maggioranza, che molto probabilmente sarebbe Berlusconi, di poter controllare il Parlamento e quindi di esercitare il potere di Governo, senza subire condizionamenti da parte né di alleati, né di avversari. Insomma l’obiettivo già perseguito con la riforma costituzionale del Polo di instaurare un “premierato forte”, con un solo uomo al comando, verrebbe raggiunto, non attraverso la strada diretta della demolizione della Costituzione repubblicana, praticata con insuccesso nella passata legislatura, ma attraverso il metodo indiretto utilizzato, con successo, dal cav. Benito Mussolini.
Alla luce di queste considerazioni è evidente che il referendum elettorale è una vera e propria mina che potrebbe far saltare il banco della democrazia.
A questo punto rimane una sola domanda: riuscirà la Corte Costituzionale a spegnere la miccia del referendum, oppure le chiavi della salvezza della Repubblica saranno di nuovo consegnate nelle mani del popolo, ultimo baluardo quando tutte le altre garanzie sono cadute?