Il terremoto politico del 14 aprile non è frutto del fato cinico e baro, né si può attribuire al progetto della sinistra arcobaleno, per quanto giusto o sbagliato che fosse, una responsabilità per un risultato che non discende dai comportamenti dei gruppi dirigenti dei partiti della sinistra, ma deriva dalla logica del sistema politico come ridisegnato dal sistema elettorale.
Nel corso degli ultimi quindici anni, il modello di democrazia, prefigurato dalla Carta costituzionale, è stato oggetto di attacchi ripetuti ed insidiosi. I tentativi più aggressivi e diretti di demolizione dei caratteri originali e progressisti della democrazia italiana, a cominciare dalla bicamerale presieduta dall’on. Massimo D’Alema, per finire alla riforma Calderoli del 2005, che cancellava completamente l’ordinamento democratico e lo sostituiva con un ordinamento semidittatoriale, sono sostanzialmente falliti, a fronte di una straordinaria capacità di resistenza della democrazia in Italia, suggellata dal referendum costituzionale del 25/26 giugno 2006.
E tuttavia se le aggressioni dirette alla democrazia repubblicana nel nostro paese, attraverso la modifica formale della Costituzione, sono, per cause varie, fallite, l’attacco più insidioso alla democrazia è venuto attraverso il sistema elettorale. Le leggi elettorali, anche se non sono di rango costituzionale, concorrono a determinare la “costituzione materiale”, delineando la fisionomia del sistema politico, sia per quanto riguarda l’esercizio concreto della rappresentanza, sia per quanto riguarda la forma di governo.
Con l’introduzione del maggioritario e la logica del bipolarismo forzato il principio democratico è stato azzoppato attraverso una compressione innaturale della rappresentanza. Con la legge Calderoli (il c.d. porcellum) è stato portato a compimento il processo di involuzione oligarchica dell’ordinamento politico attraverso il sistema elettorale, avviato con il maggioritario, espropriando gli elettori della benché minima possibilità di concorrere a determinare la composizione della rappresentanza politica in Parlamento ed esasperando ancor di più il bipolarismo attraverso il premio di maggioranza.
Con l’ultima campagna elettorale si è verificato un ulteriore passo verso la compressione della rappresentanza e la riduzione del pluralismo politico attraverso l’interpretazione che i capi delle principali forze politiche (Berlusconi e Veltroni) hanno dato della legge Calderoli, smantellando le coalizioni ed articolando la sfida elettorale per il premio di maggioranza sostanzialmente su due listoni contrapposti, sulla falsariga della legge Acerbo, utilizzata dal Mussolini nel 1924 per demolire il pluralismo parlamentare.
In questa scelta ci sono le radici del disastro elettorale. Quando Veltroni ha smantellato la coalizione delle forze democratiche che si opponevano al Berlusconismo, ha deciso coscientemente di consegnare l’Italia nelle mani della destra più antidemocratica che ci sia in Europa e nello stesso tempo di demolire il pluralismo politico che è il principale antidoto che le democrazie hanno inventato per resistere al pericolo della dittatura della maggioranza. Non si è trattato di un divorzio consensuale. Il divorzio consensuale è ammissibile solo in un contesto di libertà, ma non quando le leggi elettorali pongono delle costrizioni insuperabili alle forze politiche attraverso la tenaglia del premio di maggioranza e delle soglie di sbarramento.
In realtà si è trattato di un ripudio. Ma non è stata ripudiata solo l’alleanza con alcune forze politiche democratiche. E’ stata ripudiata una versione della democrazia, pluralista, partecipata, rappresentativa, che la Costituzione garantiva al popolo italiano, in favore di un sistema di governo fondato su un bipartitismo forzato, asfittico e miserabile.
E’ questo il colpo più grave che abbia mai ricevuto la Costituzione italiana da quando è iniziato il calvario delle riforme. Le istituzioni repubblicane ne escono profondamente ferite.
Oggi ’è un’emergenza democratica, ancora più grave di quella che ha attraversato il nostro paese nel quinquennio 2001-2006, che, non a caso, si aprì nel segno del manganello con il G8 a Genova e si concluse con le carte di Pio Pompa, che dimostravano l’attitudine ad utilizzare i servizi segreti come una sorte di polizia politica di regime, dedita alla sorveglianza e alla “disarticolazione” degli oppositori. Adesso ritornano quella stessa cultura, quegli stessi personaggi e quelle stesse pratiche politiche, ma la capacità di resistenza delle istituzioni democratiche alle degenerazioni della politica , oggi risulta notevolmente più indebolita.
In questa situazione tutti ci chiediamo da dove ripartire. Ebbene, il problema è la democrazia, dalla democrazia non si può prescindere. Ripristinare il pluralismo, per ripristinare la partecipazione e la rappresentanza politica, restituendo alle forze politiche la libertà del confronto, del conflitto, della mediazione e rendere di nuovo i cittadini italiani partecipi ed attori della vita della comunità politica, invece che tifosi passivi di schieramenti imposti per legge.