La strage dei 73 profughi morti nel canale di Sicilia non è frutto del fato cinico e baro. Se non vi sono stati soccorsi, sappiamo già che ciò non è dipeso dal mancato avvistamento del gommone alla deriva da parte dei natanti che incrociano le acque del canale di Sicilia. I profughi sono stati abbandonati al loro destino, essendo diventati – in virtù di recenti politiche del governo italiano – simili alle scorie tossiche di cui bisogna disfarsi. Le circostanze concrete di questa tragedia saranno accertate dall’Autorità Giudiziaria alla luce dell’inchiesta aperta dalla Procura di Agrigento, che – secondo notizie giornalistiche – è intenzionata anche a prendere conoscenza delle operazioni di respingimento in mare dei profughi, inaugurate dal Ministro Maroni nello scorso mese di maggio. Ciò non deve stupire perché le politiche di respingimento in alto mare dei profughi costituiscono il retroscena, lo sfondo all’interno del quale è maturata la tragedia, che non è possibile decontestualizzare. Questa politiche, di cui il Ministro dell’Interno mena gran vanto, presentano peculiari profili di illegalità, che giustificano l’intervento della magistratura. Secondo l’interpretazione autentica di tali operazioni fornita dallo stesso Ministro, si tratterebbe di un “nuovo modello di contrasto in mare”, che comporterebbe un respingimento dei “clandestini” (cioè dei profughi), alla frontiera, senza che possano trovare applicazione le normative sul diritto d’asilo, in quanto «i clandestini non arrivano sul territorio nazionale». Senonchè è di solare evidenza che i profughi, soccorsi (o abbordati) in mare e trasbordati sulla navi militari italiane, sono assoggettati ad un provvedimento amministrativo, non individuale, in virtù del quale vengono coattivamente consegnati alle autorità libiche. Ed è di altrettanto solare evidenza che gli stessi, sebbene non sbarcati sul territorio geografico italiano, vengono assoggettati ad un atto di sovranità delle autorità politiche italiane, attuato mediante l’utilizzo di navi e personale militare italiano. Del resto l’art. 4 del codice penale, precisa che le navi e gli aeromobili italiani sono considerati “territorio dello Stato”, ovunque si trovino. Pertanto i profughi soccorsi (o catturati) in mare sono giuridicamente entrati nel “territorio dello Stato” per il solo fatto di essere stati trasbordati sulle navi italiane ed è proprio il fatto di essere soggetti alla sovranità italiana, che rende possibile la loro consegna coatta alle autorità libiche. Orbene tale provvedimento amministrativo è in palese e radicale ed insanabile contrasto con la normativa legalmente vigente in Italia che regola la disciplina dell’immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero, nonché con le norme in materia di asilo politico e con le Convenzioni Internazionali stipulate dall’Italia e con la disciplina di origine comunitaria nel settore specifico.
Basti pensare al divieto di respingimento (stabilito dalla legge Bossi-Fini) per i richiedenti asilo politico, per le persone bisognose di protezione umanitaria, per le donne incinte, per i minori, etc. Ai limiti derivanti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo, che vieta l’espulsione o il respingimento dello straniero verso quei paesi dove potrebbe essere sottoposto a tortura ed interdice le espulsioni collettive. Agli obblighi nascenti dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati che vincola tutti gli Stati al rispetto del “né refoulement”, cioè fa divieto assoluto di respingimento dei profughi verso quei paesi dove potrebbero subire delle persecuzioni. Ed è proprio in ragione del loro carattere collettivo che tali misure, che hanno avuto per oggetto anche minori, persino neonati e donne incinte, violano – in ogni caso – la normativa del diritto interno che disciplina l’istituto del respingimento e le relative procedure. Bisogna inoltre rilevare che, con il respingimento in alto mare viene violato l’art. 13 della Costituzione, in quanto ai profughi, sebbene sottoposti ad una misura che incide pesantemente sulla loro libertà personale, e sulla loro stessa vita, viene sottratta la possibilità di uno scrutinio da parte dell’autorità giudiziaria, come previsto dalla normativa sull’immigrazione.
Il disprezzo dei diritti fondamentali dell’uomo che traluce da tali politiche costituisce, indubbiamente, un antefatto che, assieme ad altre cause, ha concorso a determinare questa tragedia. L’importante è ricercarle tutte.