Dopo la pronunzia della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano e le reazioni scomposte che ne sono seguite, l’accelerazione della crisi politico-istituzionale ed il discredito internazionale in cui versa l’Italia rendono evidente anche ai ciechi e ai sordi che siamo precipitati in un tempo politico drammatico. Se guardiamo all’Italia come ad un luogo politico, come ad una comunità di persone strutturata in un ordinamento politico attraverso le istituzioni repubblicane, allora dobbiamo convenire che la Costituzione è la nostra Patria.
Ebbene non possiamo non vedere che questo luogo politico, la Repubblica democratica e con il suo patrimonio di beni pubblici repubblicani, è stato invaso da un esercito di occupazione che si sta impegnando con la massima solerzia a smantellare tutti (proprio tutti) i beni pubblici repubblicani. Non si tratta soltanto della seconda parte della Costituzione che viene contestata e delegittimata ogni giorno con gli attacchi ai giudici, alla Corte Costituzionale ed al Presidente della Repubblica (quando si mette di traverso), ma anche della prima parte, con l’attacco ai fondamenti della dignità umana e dell’eguaglianza, fino alla riesumazione strisciante delle leggi razziali. Fino a sfigurare definitivamente il volto della Repubblica ed a cambiarne i connotati, trasformarla in altro da se: un Sultanato o una Satrapia, comunque un altro ordinamento, estraneo alle tradizioni della democrazia di tipo occidentale.
Quando le truppe naziste hanno invaso l’Italia, tutte le forze vive, tutti i patrioti, si sono opposti ed hanno unito i loro sforzi creando il Comitato di Liberazione Nazionale, nel quale sono confluite forze e culture diverse (dai comunisti ai badogliani), che hanno messo da parte le loro divergenze per perseguire l’obiettivo comune della salvezza della Patria.
In questa contingenza storica di nuovo un pericolo mortale minaccia la Patria-Costituzione. Come avvenne con la resistenza, ora come allora, occorre chiamare a raccolta tutte le energie spirituali, tutte le culture, tutte le forze politiche e tutti gli uomini di buona volontà, che riconoscono nella Costituzione la loro Patria, ad agire con fermezza per la salvezza della Repubblica. Di fronte a questa superiore esigenza, tutte le forze politiche, che riconoscono valore ai beni pubblici repubblicani, devono mettere da parte le differenze (non cancellarle) ed impegnarsi in una fortissima unità d’azione per scacciare l’esercito di occupazione che dilaga nel territorio della Patria. Non esistono alternative all’unità. L’unità è imposta dalla legge elettorale che, attraverso lo strumento del premio di maggioranza impone che un solo esercito possa sfidare le forze di occupazione.
Anche se le radici del malessere vengono da lontano, è stato lo sciagurato scioglimento dell’Unione, nel 2008, a determinare questo disastro. Lo scioglimento dell’Unione è stato come lo sbandamento dell’esercito italiano l’8 settembre: ha reso possibile l’occupazione della Patria da parte dell’esercito invasore. Se la posta in gioco è la sopravvivenza della Repubblica, cioè la Patria, allora tutte le forze si devono coalizzare, tutte le energie devono essere chiamate a raccolta. Non si può dire, come sventatamente si è fatto nel 2008: questo si, questo no.
E’ pur vero che se si vuole costruire una coalizione credibile non si possono ignorare le difficoltà che hanno determinato il tramonto dell’Unione. Un nuovo CLN può scacciare l’esercito invasore, ma non può garantire il funzionamento dell’Esecutivo. Anche il governo nato dalla Liberazione, il governo Parri, durò pochi mesi e, qualche mese più tardi si verificò una spaccatura verticale fra le forze politiche che avevano dato vita alla resistenza.
E tuttavia non si tratta di una difficoltà insormontabile. Per trovare una risposta a questo problema bisogna ritornare alla Costituzione. Bisogna ristabilire i ruoli che la Costituzione ha assegnato al Governo ed al Parlamento, rovesciando quella tendenza che negli ultimi 15 anni ha portato ad espandere al massimo il ruolo del Governo a scapito del Parlamento.
E’ una tendenza che Berlusconi ha portato fino all’estremo limite, fino al punto da cambiare la natura della legge. Nel suo progetto, è la volontà del Capo dell’Esecutivo, che diviene legge, mediante un timbro apposto dai suoi uomini in Parlamento. Non dobbiamo stupirci, pertanto, se, in coerenza a questo progetto, Berlusconi ha proposto che siano soltanto i capi gruppo parlamentare ad esprimere il voto.
Sono altre le funzione ed è altra la natura del Parlamento nel progetto di democrazia concepito dai Costituenti. Bisogna ristabilire la reciproca autonomia dei ruoli, del Parlamento e del Governo, facendo fare una cura dimagrante al Governo.
Non possiamo dimenticare che il Governo Prodi si è impiccato ad una questione, di indubbia rilevanza politica, ma irrilevante per l’indirizzo economico-sociale del Governo, quale la legislazione sui Dico. In passato si sono fatte riforme enormemente più importanti dal punto di vista del costume e delle libertà civili, come l’introduzione del divorzio e la regolamentazione dell’aborto. Queste riforme sono state possibili perché nessun governo le ha assunte nel suo programma, lasciando che i contrasti vivacissimi che esistevano – anche allora – sulle questioni eticamente sensibili fossero composti attraverso la sintesi del Parlamento.
Ed è proprio il ripristino della snodo Governo-Parlamento che può dare ad una coalizione in cui convivono culture politiche differenti, lo spazio di flessibilità indispensabile per assicurare una buona salute al Governo senza mortificare le differenze, che vengono mediate e composte in Parlamento.
Sono queste le scelte che propugna l’appello “per la salvezza e la pace della Repubblica”, con l’ambizione di dare vita ad una mobilitazione dal basso che spinga le forze politiche ad agire. Immediatamente.
Roma, 16 ottobre 2009.