Nel gioco delle minacce, dei ricatti, delle intimidazioni contro le istituzioni (no a formalismi costituzionali, ha dichiarato Berlusconi, che, per sua stessa ammissione, considera la Costituzione un inferno), ogni giorno si dice e si nega di volere le elezioni immediate. I famosi cinque punti del nuovo programma essenziale approvato dal c.d. ufficio di Presidenza del Popolo della Libertà, agitati come una spada sulla testa dei parlamentari finiani, ai quali si chiede: “o inginocchiarsi o perire”, sono un’accozzaglia di slogan di pubblicità elettorale (la riduzione della pressione fiscale), di aspirazioni frustrate e di materiali tossici (come il rilancio della politica illegale di respingimento dei profughi africani nei campi di concentramento libici).
In realtà i 5 punti sono una cortina fumogena: tanto fumo per nascondere l’arrosto, il vero obiettivo che sta nell’immediato a cuore di Silvio Berlusconi: la garanzia della sua impunità. Infatti se Berlusconi perdesse la garanzia dell’impunità, avrebbe perso tutto, e tutto il resto (il federalismo, il fisco, il Ponte di Messina, gli immigrati) non conterebbe nulla.
I cinque punti non negoziabili in realtà si riducono ad uno, anzi ad un passaggio annegato nel punto sulla riforma della giustizia, in cui si fa un cenno al processo breve. I finiani l’hanno capito benissimo dichiarandosi d’accordo al 95% e non deve stupire la reazione di Berlusconi che pretende il 100%. L’oggetto dello scontro, infatti, è proprio su quel 5%.
Del resto lo dice anche il proverbio: per un punto Martin perse la cappa, riferendosi a quel monaco medioevale che, per avere sbagliato un punto nell’iscrizione sulla porta del convento, perse l’incarico di Priore. Oggi per un punto Martin-Berlusconi può perdere la cappa, cioè può perdere la possibilità perpetuare e consolidare il suo potere.
Per questo il vero oggetto dello scontro ha un solo nome: processo breve. Soltanto l’approvazione immediata della legge sul processo breve (sempre che non venga bloccata dal Quirinale) può consentire a Berlusconi di presentarsi alle ormai imminenti elezioni politiche, senza subire il “disdoro” di essere chiamato dinanzi ad un Tribunale della Repubblica, come se fosse un cittadino uguale agli altri, per rispondere della corruzione (ormai accertata con sentenza passata in giudicato) dell’avv. Mills. Questo perché il 14 dicembre la Corte costituzionale dovrà pronunziarsi sulla evidente incostituzionalità della legge sul legittimo impedimento, che il sarto Alfano ha confezionato a misura del suo padrone per garantirgli la “non processabilità” fino a quando il Parlamento non si deciderà a modificare la Costituzione, assicurando a Berlusconi l’immunità-impunità di cui ha bisogno.
Senonchè il c.d. “processo breve” non è uno scoglio facile da superare. Nella galleria delle assurdità messe in campo per tutelare gli interessi del capo politico Berlusconi e delle sue aziende, il processo breve si colloca al primo posto. Questa disciplina non ha ricevuto l’attenzione e le contestazioni che l’opinione pubblica ha riservato alla legge sulle intercettazioni perché, per la sua assurdità, tutti ritenevano che fosse stata agitata solo come merce di scambio (per ottenere l’approvazione rapida del legittimo impedimento ed altri favori) e destinata ad un binario morto.
In realtà il processo breve è un progetto ancor più pericoloso, per le sorti della legalità, della c.d. legge bavaglio. Dovremo ritornare sull’argomento, però è necessario puntualizzare che questa disciplina non riguarda il processo, ma prende di mira la giurisdizione, introducendo dei rigidi tempi di decadenza all’esercizio della funzione giurisdizionale, che non esistono in nessun paese al mondo. Sono state inventate tre fasce di durata massima, superate le quali il processo si estingue e l’imputato deve essere prosciolto, anche se si tratta di un serial Killer ed il processo ne ha dimostrato la colpevolezza, al di là di ogni ragionevole dubbio. Per capire quale sarebbe l’effetto esplosivo che determinerebbe una simile inconcepibile compressione della giurisdizione penale, basti pensare che, qualora il processo breve fosse entrato in funzione qualche hanno fa, oggi tutti gli assassini del clan dei casalesi, a cui la Cassazione ha comminato 30 ergastoli nel gennaio di quest’anno, sarebbero a piede libero, assieme ai gruppi di fuoco della mafia, ivi compresi quegli “uomini di onore” che, alcuni anni fa strangolarono un bambino, dopo averlo tenuto sequestrato per tre anni e ne disciolsero il cadavere nell’acido.
Va da sè che sotto la scure del processo breve cadrebbero, tutti i più gravi fatti di corruzione che, per avventura sfuggissero alla “prescrizione breve” introdotta da un’altra legge ad personam.
Però proprio sul processo breve i finiani, che hanno investito il loro onore politico sulla questione della legalità non possono cedere, perché qui la posta in gioco è la giurisdizione.
La giurisdizione, tanto nel penale quanto nel civile, è una funzione essenziale nel contratto sociale perchè serve a garantire la convivenza pacifica fra i cittadini. Se lo Stato rinunziasse alla giurisdizione penale, la violenza dilagherebbe e si sfalderebbe il contratto sociale.