Una proposta alla società e alle forze politiche italiane
“Il Manifesto” del 29 dicembre 2010 sotto il titolo “Il porcellum ‘virtuoso’ , Secondo i Comitati Dossetti per la Costituzione è possibile nonostante tutto l’utilizzo della legge elettorale Calderoli” ha pubblicato il seguente articolo di Raniero La Valle e Luigi Ferrajoli, rispettivamente Presidente e Vice-Presidente dei “Comitati Dossetti per la Costituzione”.
Una proposta per un “uso virtuoso” della legge elettorale Calderoli viene lanciata dai Comitati Dossetti per la Costituzione e sarà illustrata ai partiti in una Assemblea nazionale il 28 gennaio a Bologna. L’obiettivo è quello di fermare la corsa verso il baratro del sistema politico italiano, facendo della prossima legislatura un momento di discontinuità e di dialogo tra le forze politiche, per ripensare le modalità del bipolarismo e riaprire una strada condivisa per portare a conclusione la ormai troppo lunga e rovinosa transizione italiana.
Ciò comporta però che il prossimo Parlamento non sia il mero risultato della sfida tra due soli contendenti, ma esprima la rappresentanza di tutte le forze politiche, senza il trauma del premio di maggioranza, senza esclusioni predeterminate e senza l’annullamento dell’identità e dell’autonomia dei vecchi e nuovi soggetti politici, a cominciare da quelli di nuova formazione che non possono, prima ancora di cominciare ad esistere, essere costretti ad assimilarsi e a scomparire nel blocco dei partiti maggiori. Dunque sarebbe necessario, almeno per un “giro”, un’elezione di tipo proporzionale. Ciò si può ottenere, dicono i Comitati Dossetti, anche se non si riuscisse a modificare la legge elettorale, facendo venire alla luce e rendendo operante l’impianto primariamente proporzionale e pluralistico della stessa legge Calderoli, in modo che attraverso il suo migliore uso da parte delle forze politiche, sia ugualmente possibile “un voto libero ed eguale”.
Anzitutto infatti, sottolineano i Comitati, la legge Calderoli non prevede la designazione diretta di un presidente del Consiglio da parte del corpo elettorale (checchè possa essere scritto nei simboli) ed anzi esplicitamente fa salve le prerogative del capo dello Stato a cui tocca il conferimento dell’incarico di governo sulla base dei risultati elettorali e della consultazione dei partiti. La legge Calderoli prevede invece l’indicazione di un capo per ciascuna delle coalizioni concorrenti, il quale pertanto può essere una figura rappresentativa e di garanzia, di alto profilo culturale o istituzionale, ma non necessariamente il candidato politico per la guida dell’esecutivo; ogni forza collegata nella coalizione può invece presentare agli elettori il proprio progetto di governo, e sarebbe appunto tra questi che l’elettorato sarebbe invitato a indicare la propria preferenza. È dunque possibile formare coalizioni elettorali più ampie rispetto a delle pure e semplici alleanze di governo, coalizioni che condividano scelte generali di democrazia e di diritto, che enuncino, come richiesto dalla legge, un programma che può comprendere pochi punti essenziali, e che presentino all’elettorato, come espressione rappresentativa della loro intesa, una personalità significativa dei valori condivisi dalle liste collegate, anche se non appartenente ad alcuna di esse e non identificabile con alcuno dei loro specifici programmi politici e di governo.
Riguardo poi ai risultati del voto, la legge Calderoli, facendo proprio l’impianto del Testo Unico del 1957 per le elezioni della Camera e del decreto legislativo n. 533 del 1993 per l’elezione del Senato, prevede, come prima ipotesi e come prima fase della procedura, che tutti i seggi in palio alla Camera e al Senato siano distribuiti in modo proporzionale tra tutte le coalizioni e le liste concorrenti, sulla base di una quota elettorale nazionale (o regionale per il Senato) eguale per tutti, così che i voti di tutti gli elettori pesino tutti allo stesso modo nell’assegnazione dei seggi.
Tuttavia la legge Calderoli introduce a un certo punto una ipotesi subordinata, e cioè che, fatta in via provvisoria l’assegnazione dei seggi, risulti che nessuna coalizione o partito abbia conseguito, grazie ai suoi voti, 340 deputati alla Camera e il 55 per cento dei seggi in ciascuna regione al Senato. A questo punto la legge Calderoli da distributiva diventa redistributiva, toglie i seggi agli uni e li attribuisce agli altri; alla coalizione o lista risultata come la minoranza più forte, (anche per pochi voti rispetto a ciascuna delle altre) aggiunge tanti deputati o senatori quanti ne mancano a 340 (o al 55 per cento nella regione) togliendoli da quelli già assegnati alle altre liste e coalizioni. Di conseguenza si vengono a formare due diverse quote elettorali, una, a cui bastano meno voti, per chi vince, l’altra, per la quale ci vogliono molti più voti, per gli altri; e così i voti dei cittadini non sono più eguali, essendo computati secondo aritmetiche diverse.
Inoltre la legge Calderoli introduce una ulteriore discriminazione, perché stabilisce una soglia di sbarramento che non è eguale per tutti: ai partiti uniti in una coalizione che ottenga un certo numero minimo di voti vengono distribuiti seggi se hanno conseguito il 2 per cento dei voti alla Camera e il 3 per cento al Senato; ai partiti non coalizzati non viene invece distribuito alcun seggio se non hanno superato la soglia del 4 per cento alla Camera e dell’8 per cento al Senato.
Questo meccanismo redistributivo dei seggi introdotto come ipotesi nella legge Calderoli, ed esaltato dall’attuale maggioranza come se fosse una nuova Costituzione, può non scattare, in modo tale che la legge, per natura sua proporzionale, non opererebbe la successiva maonomissione del risultato elettorale. È sufficiente che i partiti applichino la legge Calderoli con la stessa sagacia con cui, nelle sue ipotesi subordinate, essa è stata concepita.
È sufficiente cioè che tutte le forze e i partiti interessati a un Parlamento eletto, almeno per la prossima legislatura, senza l’alterazione del premio di maggioranza, stabiliscano un “collegamento” in una coalizione non di carattere partitico-politico ma tecnico-istituzionale, che per la sua estensione, superiore a quella necessaria e possibile per la formazione di un governo, possa conseguire per volontà dell’elettorato più di 340 deputati e del 55 per cento dei senatori in ogni regione.
In tal caso non ci sarebbe alcun premio di maggioranza; a tutti i partiti, anche a quelli che avessero dato vita a una coalizione opposta, i seggi sarebbero attribuiti in modo proporzionale secondo la effettiva forza di ciascuno e, non essendoci alcuna ragione che dei partiti siano esclusi dalle coalizioni, per tutti la soglia di sbarramento si abbasserebbe al 2 per cento alla Camera e al 3 per cento al Senato.
Questo uso virtuoso della legge Calderoli prevede pertanto un collegamento di carattere tecnico-istituzionale in una coalizione che potrebbe andare da un capo all’altro dello schieramento politico, ferma restando la comune fedeltà ai valori fondamentali di democrazia e di libertà, e non esclude che all’interno della medesima coalizione, nella stessa campagna elettorale, singoli partiti o alleanze di partiti si candidino a governare, illustrino agli elettori il loro specifico programma e propongano una guida e un ceto di governo; ogni partito e forza politica, dentro e fuori la coalizione, manterrà cioè la propria identità e la propria prospettiva ideale e politica e mostrerà le proprie capacità di aggregazione in vista di obiettivi condivisi; sarà poi, sulla base di risultati elettorali non manipolati, che le ipotesi di governo suffragate dal più largo consenso dei cittadini, potranno tradursi in realtà, in modo che sia nello stesso tempo salvaguardata la governabilità, assicurata da forze omogenee, e la rappresentatività dell’intero corpo elettorale nel rapporto di fiducia col governo e nell’opera delle riforme.
Una tale coalizione, potrebbe risolvere anche la questione delle preferenze. I partiti collegati potrebbero infatti organizzare, una o due settimane prima del deposito delle liste, delle primarie in cui i cittadini, scegliendo quattro o cinque nomi dell’elenco loro presentato dai partiti, determinerebbero l’ordine in cui ciascun partito inserirebbe i candidati nella lista definitiva, ordine che sarebbe quello secondo il quale, come stabilisce la legge, infine verrebbero eletti.
Quella qui suggerita sarebbe, secondo i Comitati Dossetti, la via per uscire dalla lunga stagione dell’odio e avviare una ricomposizione dell’unità spirituale e politica dell’Italia: una via, ma forse anche l’unica via.
Raniero La Valle e Luigi Ferrajoli
(Presidente e Vice-presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione)