Secondo un antico aforisma romano “Quos Deus vult perdere dementat prius: quelli che Dio vuole perdere, prima li fa uscire di senno.
Nessuna metafora potrebbe essere più adeguata alle esplosioni di collera di Berlusconi che,non avendo mai rispettato il galateo istituzionale, negli ultimi due giornisi è messo a sparare ad alzo zero contro l’esercizio della giurisdizione,utilizzando espressioni che superano in livore quelle adoperate a suo tempo dalle brigate rosse contro i giudici che “perseguitavano” i terroristi.
Accusando i Pubblici Ministeri di essere “un’avanguardia rivoluzionaria” e di aver intrapreso un “golpe morale” contro di lui con inchieste “degne della DDR”, Berlusconi in pratica si è dichiarato “prigioniero politico” ed ha disconosciuto l’autorità della giurisdizione se esercitata – come prevede la Costituzione – in modo indipendente dal potere politico.
Questa è una dichiarazione di guerra allo Stato che, quando proviene da gruppi armati (come nella stagione del terrorismo), è un atto insurrezionale; quando proviene da chi si trova al vertice del potere esecutivo è – in senso tecnico-giuridico – un atto eversivo.
Ciò in quanto radica un conflitto che spacca l’unità dell’ordinamento nel quale è iscritto il principio della divisione dei poteri e della sottoposizione di tutti i cittadini, massimamente coloro che esercitano poteri pubblici, all’obbligo di rispettare quelle regole di civiltà e di convivenza che sono alla base della legge penale.
In questa situazione è diventato evidente, anche per quelli che per anni non hanno voluto vedere, che il Capo politico che ci governa è in rotta di collisione con le istituzioni dello Stato democratico.
E’ uno scontro che non consente alcun tipo di mediazione, per cui o vinceranno le istituzioni democratiche e Silvio Berlusconi dovrà rispondere dei suoi guai con la giustizia come ogni altro cittadino, oppure le istituzioni democratiche saranno travolte.
Nella “Costituzione di Arcore”, che si delinea sullo sfondo del progetto politico del Pdl e mira a trasformare la Repubblica in un Sultanato, la persona di Silvio Berlusconi è sacra ed inviolabile, per cui i magistrati che volessero procedere contro di lui sarebbero puniti per oltraggio al sovrano, come già adesso si minaccia di fare.
E’ questa la sostanza dell’emergenza democratica in atto nel nostro paese.
Né la crisi della democrazia in Italia è meno grave per l’attitudine a trasformarla in farsa. Quando un Ministro degli Esteri minaccia di fare causa allo Stato italiano dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la violazione della privacy del Presidente del Consiglio, l’unica osservazione che si può fare è quella di richiamare un vecchio slogan del ‘68: una risata vi seppellirà!
Tuttavia, malgrado questi segni evidenti di squilibrio di Berlusconi e del suo entourage, la situazione non si risolverà da sola. Anzi, in questo giorni si sta provando davanti al Tribunale di Milano la scena finale del Caimano, l’attacco del “popolo” ai palazzi della giustizia per il definitivo regolamento di conti con lo Stato di diritto.
Questa scena finale, che – come un incubo – si affaccia nel nostro subconscio da alcuni anni, può essere sventata. Può essere scritto un altro finale.
La democrazia italiana non è costruita sulla sabbia, il sangue versato nella Resistenza non è stato versato invano. E’ proprio nei periodo più oscuri, quando tutto sembra perduto, che possono venire fuori delle energie insospettate. In questo momento l’Italia ferve di iniziative di mobilitazione, milioni di donne e di uomini scenderanno in piazza fra sabato
e domenica in tutte le città italiane ed all’estero per testimoniare che un’altra Italia è possibile, che è possibile riunirsi in un supremo sforzo per arrestare il declino e ristabilire le condizioni di dignità, onore, cultura e libertà nel nostro Paese.