Riforma epocale o soluzione finale?

Tanto tuonò che piovve!

Alla fine dopo un bombardamento di annunzi, il Consiglio dei Ministri ha partorito la tanto attesa riforma epocale della giustizia. I commentatori si sono affrettati a segnalare che dal testo della riforma sono stati espunti i passaggi più innovativi per non irritare l’inquilino del Quirinale, come la nomina da parte del Parlamento del Procuratore Generale della Cassazione, ma, con tutto ciò, di innovazioni ce ne sono a sufficienza per stravolgere l’intero impianto costituzionale.

E il peggio deve ancora arrivare perchè i disegni di legge di iniziativa del Governo hanno bisogno dell’autorizzazione al deposito da parte del Presidente della Repubblica e quindi devono essere ripuliti dalle norme più maleodoranti, che poi emergeranno nel corso del procedimento legislativo affidati alla manina di qualche deputato compiacente. Inoltre è risaputo che il diavolo è nei particolari ch,e in questo caso sono le 11 leggi di attuazione annunziate, le cui bozze – ovviamente – non sono disponibili.

E tuttavia già da questo inizio emerge un disegno riformatore che incide in profondità, non tanto sulla giustizia, quanto sulla democrazia, sfigurando profondamente il modello di democrazia concepito dai costituenti, imperniato su una insuperabile divisione dei poteri.

Il principio ordinatore della democrazia costituzionale, che prevede la distribuzione e diffusione del potere fra una pluralità di soggetti distinti che interagiscono in un sistema di pesi e contrappesi reciproci, fa venire l’orticaria a Berlusconi che ha definito la Costituzione un inferno. Come potrebbe tollerare, allora, lo scandalo del potere diviso così incompatibile con la Costituzione di Arcore, dove tutti i poteri convergono nella mani del Capo politico?

La prima pietra dello scandalo è costituita dall’indipendenza del potere giudiziario che la Costituzione ha voluto garantita al massimo livello per assicurare ai cittadini – per quanto è possibile – un giudice sereno, imparziale e non condizionabile attraverso l’esercizio dei poteri politici e di governo, poiché, come recita l’art. 101 “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

Per ottenere questo risultato, la Costituzione ha presidiato l’indipendenza del corpo dei giudici e dei pubblici ministeri, sottraendo la gestione delle assunzioni, delle carriere e dei trasferimenti e delle sanzioni disciplinari al potere esecutivo, attraverso l’istituzione (art. 104) del Consiglio Superiore della Magistratura, i cui componenti per due terzi sono eletti da tutti i magistrati ordinari e per un terzo dal Parlamento. Essa pretende anche che il potere giudiziario nel suo esercizio non sia condizionato neppure da gerarchie interne (art. 107: “..i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”) e sia inscindibilmente vincolato al canone dell’eguaglianza, attraverso l’obbligatorietà dell’azione penale (art.112).

La riforma “epocale” di Berlusconi aggredisce tutti (proprio tutti) i meccanismi posti a presidio dell’indipendenza del giudiziario, non rinnegandoli apertamente ma depotenziandoli e scavandoli dal di dentro fino a trasformarli in gusci vuoti.
Se la Costituzione, a presidio dell’indipendenza, ha fissato il principio dell’autogoverno della magistratura prevedendo che i due terzi dei componenti del Consiglio superiore debbano essere eletti dai magistrati, la “riforma epocale” neutralizza l’autogoverno attraverso due meccanismi convergenti: la riduzione al 50% della componente eletta dai magistrati ed il divieto per i magistrati di scegliersi i propri rappresentanti, prevedendo il sorteggio degli eleggibili. In questo modo sotto la facciata dell’autogoverno si realizzerà in effetti un governo della magistratura fortemente condizionato dalla politica. E la politica metterà i piedi nel piatto anche nelle procedure disciplinari con l’introduzione di una Corte di disciplina, i cui componenti anch’essi sono eletti per la metà dal Parlamento e per la metà dai magistrati, mentre anche il principio dell’inamovibilità dei magistrati viene ridimensionato secondo quanto stabilito con legge ordinaria.

Se la Costituzione ha legato inscindibilmente il destino del Pubblico Ministero a quello dei giudici, per evitare che la funzione inquirente sia attratta nell’orbita del potere politico, la “riforma epocale” taglia questo legame e crea le condizioni per neutralizzare l’indipendenza del Pubblico Ministero attraverso due meccanismi convergenti: ridimensiona la regola secondo cui l’autorità giudiziaria dispone direttamente della Polizia giudiziaria (art. 109), precisando che ciò avverrà secondo le modalità stabilite dalla legg,e e ridimensiona la regola dell’obbligatorietà dell’azione penale, prevedendo che il P.M. ha l’obbligo di esercitarla “seondo i criteri stabiliti dalla legge”.

Infine, per completare l’attrazione del P.M. nell’orbita politica, è previsto che il Ministro della Giustizia debba riferire al Parlamento ogni anno sull’esercizio dell’azione penale. In altri termin,i il Ministro della Giustizia si deve ingerire nell’esercizio dell’azione penale e ciò del resto è conseguenza del fatto che l’azione penale non è più obbligatoria, tout court, ma deve essere orientata da criteri stabiliti dalla politica.

Per completare il quadro viene ripescata la legge Pecorella, che la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionale, prevedendo che le sentenza di proscioglimento possono essere appellate soltanto nei casi previsti dalla legge.

Nella conferenza stampa di presentazione della riforma epocale, Berlusconi ha detto che se fosse stato in vigore questo nuovo ordinamento della giustizia non ci sarebbe stata: “l’esondazione, l’invasione della magistratura nella politica e quelle situazioni che hanno portato nel corso della storia degli ultimi venti anni a cambiamenti di governo, a un annullamento della classe dirigente nel ’93.”

Una volta tanto siamo d’accordo con lui. E’ vero!

Se si demolisce l’edificio dell’indipendenza del giudiziario non è possibile l’esercizio del controllo di legalità nei confronti degli arbìtri commessi da coloro che esercitano poteri pubblici e privati e nello stesso tempo diminuiscono le garanzie di libertà di ciascuno di noi perchè i condizionamenti politici sull’operato dei giudici possono essere rivolti tanto ad ottenere l’impunità del ceto dirigente quanto ad ottenere ingiustificate persecuzioni nei confronti degli oppositori.

Ma non è così che si costruisce un regime?

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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