Dopo tanto parlare di riforme della giustizia e di interesse dei cittadini alla ragionevole durata dei processi, alla fine la maggioranza ha calato le carte e svelato quello che le sta veramente a cuore, lasciando intravedere i reali obiettivi che vuole conseguire e sui quali tenterà l’affondo nel corso di questa settimana cruciale.
La montagna del processo breve ha partorito il topo della prescrizione ultraridotta.
Dopo aver minacciato di introdurre una inusitata ed inconcepibile decadenza del potere/dovere dello Stato di assicurare il contrasto alla criminalità attraverso lo strumento del processo penale, che – ricorrendo determinate condizioni – avrebbe determinato l’impunità anche per reati imprescrittibili come l’omicidio di mafia o le stragi, alla fine il c.d. processo breve si è sgonfiato, trasformandosi in un obbligo di segnalazione agli organi titolari del potere disciplinare. Evaporato l’istituto della decadenza del processo, quello che rimane è la norma inserita in dirittura finale dal relatore, in perfetta concordanza con il Governo, che accorcia la prescrizione dei reati per una determinata categoria di persone, riducendo i termini già ridotti dalla legge ex Cirielli nel 2005.
Com’è noto, la legge ex-Cirielli ha introdotto una disciplina in cui i limiti temporali per la punibilità non sono dipendenti dalla obiettiva gravità del reato, ma sono costruiti sul tipo di autore. Un fatto commesso da una persona “perbene” è meno grave (e meno punibile) dello stesso fatto commesso da una persona “per male” che, nella generalità dei casi, è un emarginato.
In particolare, con la legge ex Cirielli sono stati abbassati i termini di prescrizione per i reati commessi dai colletti bianchi (che normalmente sono commessi da incensurati). Sono stati ridotti i termini di prescrizione per reati come il peculato, la concussione, la corruzione propria, la corruzione in atti giudiziari, la bancarotta fraudolenta. La legge ha funzionato, non è per caso che il processo per corruzione a carico dell’avv. Mills si è concluso con una sentenza di non doversi procedere per prescrizione, pur essendo stato accertato – con sentenza passata in giudicato – l’episodio di corruzione contestato all’avvocato inglese. Tuttavia anche questi termini ridotti non sono stati sufficienti, in quanto pendono sulla testa del Presidente del Consiglio nuovi procedimenti che possono turbare il sereno esercizio delle sue funzioni e lo stesso processo Mills può portarlo ad una condanna in primo grado.
Quindi si interviene un’altra volta sulla prescrizione, per ridurla ulteriormente in funzione delle esigenze processuali di un imputato eccellente.
Se non dobbiamo cessare di indignarci per lo scandalo delle leggi ad personam, che corrompono la funzione della legge, che deve essere orientata al bene pubblico, qui il problema va ben oltre il destino processuale di un singolo imputato. Quella che viene pregiudicata è la legalità, perchè termini di prescrizione irragionevolmente brevi per reati molto dannosi per la collettività, come possono essere i reati tipici dei colletti bianchi (pensiamo al crack della Parmalat che ha comportato un danno alla famiglie italiane di 14 milioni di euro; alle vicende della malasanità, come quella della clinica Santa Rita a Milano, dove si facevano operazioni chirurgiche estremamente invasive al solo scopo di lucrare i finanziamenti della Regione; alle frodi per il conseguimento di erogazioni pubbliche che creano un danno enorme, sottraendo risorse che dovrebbero essere destinate all’occupazione ed allo sviluppo economico), comportano un accrescimento enorme dell’area dell’impunità.
Il secondo obiettivo che è stato esplicitato attraverso l’emendamento Pini alla legge comunitaria è quello di aggredire l’indipendenza del giudiziario, attraverso l’introduzione di una forma di responsabilità civile che interferisce nella libertà di decisione del giudice, condizionandola pesantemente. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, organo che deve vigilare sull’attuazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, fra i quali rientra il giusto processo, ha proprio recentemente varato una raccomandazione agli Stati membri in cui prevede che: “L’interpretazione della legge, l’apprezzamento dei fatti o la valutazione delle prove effettuate dai giudici per deliberare su affari giudiziari non deve fondare responsabilità disciplinare o civile, tranne che nei casi di dolo e colpa grave”.
L’emendamento Pini provvede a dare attuazione a questo principio rovesciandolo nel suo contrario. Infatti prevede di sopprimere una norma della legge sulla responsabilità civile dei giudici che garantisce la libertà del procedimento di interpretazione delle legge, statuendo che: “nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”.
Non c’è da stupirsi di questo abbinamento di riforme. Del resto l’abbassamento del livello di legalità si sposa bene con l’intimidazione dei giudici. Se si indeboliscono i guardiani delle regole, è molto più facile liberarsi di quei controlli di legalità che tanto fastidio danno ai quei condottieri politici che aspirano all’onnipotenza.