Riforma della Costituzione: allarme rosso

In questi giorni in Italia si è verificato un vero e proprio terremoto politico attraverso i ballottaggi che, con i risultati di città come Palermo, Parma, Genova, hanno segnato il tracollo della destra berlusconiana e leghista ed hanno fatto emergere una fortissima domanda di cambiamento e di discontinuità rispetto al quadro ed alle pratiche politiche vigenti.

Qual è stata la risposta a questo terremoto dei partiti politici ed in primis del PD, partito che dovrebbe avere la maggiore responsabilità nel guidare il cambiamento?

Per quanto possa sembrare incredibile, la risposta è stata questa: accelerare con le “riforme”.

Con la riforma Fornero, approvando rapidamente il semi- smantellamento dell’art. 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori e con la riforma della Costituzione, approvando il semismantellamento dell’architettura istituzionale prevista dalla Costituzione Repubblicana, attraverso una riforma della forma di Stato e della forma di governo.

Senonchè cambiare la Costituzione è un atto impegnativo perchè si tratta di rimodellare il patto sul quale si fonda la nostra convivenza come comunità politica organizzata in Stato, non si può fare nella fretta ed in silenzio.

Sarebbe ingeneroso ironizzare sulla scarsa legittimazione a modificare il patto fondamentale da parte di un ceto politico che gode della più elevata crisi di fiducia popolare che si sia mai verificata dalla fondazione della Repubblica ad oggi. Tuttavia, questo Parlamento, anche se ha votato che Ruby è la nipote di Mubarak, fin quando è in carica, deve continuare a fare il suo mestiere, ad approvare leggi e ad esercitare tutte le sue competenze istituzionali.

Però è chiaro che se, in questa situazione di debolezza democratica, si vuol mettere mano alla Costituzione, lo si può fare soltanto se si è constatato che nella prassi della vita delle istituzioni si sono verificati dei gravi inconvenienti che devono essere rimossi con urgenza.

Quali sono questi gravi inconvenienti che bisogna rimuovere con urgenza per assicurare il migliore funzionamento della democrazia parlamentare?

Se stiamo al testo unificato di riforma che la Commissione Vizzini sta approvando in questi giorni a tappe forzate, gli inconvenienti che impediscono alla democrazia italiana di funzionare sono il fatto che il Capo del Governo ha pochi poteri, che impiega troppo tempo a farsi approvare le sue leggi dal Parlamento, che vive sotto il ricatto di essere sfiduciato, che non può punire la Camera che lo sfiducia, provocandone lo scioglimento.

Per risolvere questi “inconvenienti” la riforma Vizzini prevede di modificare l’architettura dei poteri, rafforzando il peso del Capo del Governo, accorciando il procedimento legislativo, e diminuendo il potere di controllo del Parlamento sull’operato del Governo, fino al punto da rendere la sfiducia quasi impossibile. In particolare la riforma attribuisce un controllo di fatto del Governo sull’agenda del Parlamento e consente al Capo del Governo di intimidire la Camera che dovesse votargli la sfiducia, provocandone lo scioglimento.

Se noi riflettiamo bene su queste proposte allora ci rendiamo conto perchè questo ceto politico gode di così scarsa fiducia popolare, in quanto ha creato un mondo che funziona alla rivescia rispetto alla realtà.

Dopo i 17 anni del ciclo del Berlusconismo e della Lega, c’è ancora qualcuno in Italia che crede che il sistema non funziona perchè Berlusconi ha avuto troppo pochi poteri?

Aveva, forse, ragione Berlusconi quando lamentava che un Parlamento disobbediente rallentava ed ostacolava la sua opera di riformatore o quando denunziava come un inferno l’equilibrio dei poteri che gli tarpava le ali, o quando delegittimava il possibile voto di sfiducia al suo Governo presentandolo come un attentato alla democrazia?

Se vogliamo trarre degli insegnamenti dall’esperienza della nostra vita istituzionale, dobbiamo necessariamente pervenire a conclusioni diametralmente opposte.

Se in Italia non sono state introdotte le leggi razziali, se non è stata decretata l’espulsione dalle scuole italiane degli studenti figli di un Dio minore, se gli immigrati non sono stati scacciati dagli ospedali e dalle cure mediche, se non è stato smantellato il controllo di legalità nei confronti della criminalità mafiosa ed affaristica impedendo alla polizia di fare le indagini, come il Governo Berlusconi aveva tentato di fare, dobbiamo ringraziare la saggezza dei padri costituenti, che attraverso il “bicameralismo perfetto”, hanno reso più trasparenti e meditate le procedure legislative, impedendo affrettati colpi di mano e consentendo all’opinione pubblica di reagire agli abusi.

Se il nostro paese è arrivato sull’orlo del fallimento a causa di un Governo inefficiente e corrotto, poiché il Parlamento (con una maggioranza artificialmente incrementata dalle leggi elettorali) non riusciva a modificarne gli indirizzi, la lezione che se ne deve trarre è che il Parlamento deve essere messo in condizione di modificare l’indirizzo politico del Governo e di rimuoverlo quando si riveli dannoso per il bene comune.

I nostri riformatori, invece, da questa esperienza ne traggono la conclusione esattamente opposta: rafforzare il Governo e rendere quasi impossibile (anche in considerazione dei meccanismi elettorali maggioritari) la sfiducia.

La cosa veramente inquietante è che, dopo che il Pdl e la Lega sono crollati, travolti dalla loro stessa incapacità e dai loro scandali, i riformatori attuali vogliono modificare la Costituzione, recuperando, in una forma edulcorata, il progetto di Berlusconi di manomettere l’equilibrio dei poteri per rafforzare il Capo politico ed umiliare ancor di più il Parlamento.
Facendo le debite proporzioni, questo progetto di riforma assomiglia alla riforma con cui fu modificato lo Statuto Albertino (attraverso la legge 24/12/1925 n. 2263) per consentire al Capo del Governo dell’epoca, l’on. Benito Mussolini, di avere una funzione di preminenza sul Parlamento.

Anche allora si invocava la stessa esigenza che viene perorata dai riformatori attuali: rafforzare il Governo per rendere più efficiente la sua azione.

Sappiamo com’è andata a finire!

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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