Può darsi che il regno di Silvio Berlusconi, dopo venti anni di dominio sulla scena politica, si stia avviando al tramonto, ma questo non vuol dire che stiamo uscendo dal berlusconismo.
I germi patogeni seminati dalla “cultura” istituzionale di Arcore stanno attecchendo nel campo degli (ex) avversari.
Lo dimostrano le idee, anzi le suggestioni politiche agitate da Matteo Renzi nella Convenzione della Leopolda, che lo ha candidato alla guida del partito ed – in prospettiva – del Governo.
C’è una fortissima convergenza fra la proposta politica di Renzi e la “cultura” di Berlusconi su due temi di grande rilievo istituzionale: il sistema elettorale e le garanzie della giurisdizione.
Sistema elettorale.
Dopo averci spiegato che non accetterà mai il ritorno al proporzionale, Renzi dichiara: “Porcellum o porcellinum? Io dico che una legge elettorale che funziona è quella dei sindaci che abbia tre caratteristiche: alla fine del voto sai chi ha vinto, quello che ha vinto deve avere i numeri in parlamento per governare e quello che governa è per cinque anni responsabile. Mai più larghe intese”.
Da questo concentrato di banalità bisogna distillare il modello istituzionale che sta in testa al grande riformatore.
Qui ritorna la concezione velenosa che il sistema politico-parlamentare non deve essere rappresentativo.
Le elezioni politiche non servono per selezionare una rappresentanza che faccia filtrare nelle istituzioni i bisogni, le domande, le aspettative di tutte le “parti” di cui si compone la società, per consentire ai cittadini, attraverso i loro rappresentanti, di concorrere a determinare la politica nazionale, come prevede l’art. 49 della Costituzione.
Il corpo elettorale non deve eleggere i propri rappresentanti, ma deve scegliere “quello che governa”. Il sistema elettorale deve consentire a “quello che ha vinto” di avere i numeri in parlamento per governare. Questo significa che il sistema elettorale deve imporre al sistema politico la camicia di forza di un bipolarismo forzato, manipolando la volontà degli elettori in modo tale da pervenire sempre alla creazione di una maggioranza parlamentare a favore di questo o quel partito, a prescindere dalla volontà espressa dal corpo elettorale.
In fondo questa è la fotografia del funzionamento del “porcellum”: un sistema elettorale rivolto a garantire sempre la formazione di una maggioranza di governo, a prescindere dalla rappresentatività. Basti pensare che nelle ultime elezioni alla Camera dei Deputati il Partito Democratico con 8.644.523 voti ha ottenuto 292 seggi, mentre il Movimento 5 stelle, pur avendo riportato un numero maggiore di consensi popolari (8.689.458) ha ottenuto solo 108 seggi.
Dal punto di vista dei riformatori alla Renzi il limite del porcellum non è costituito dalla divaricazione fra i seggi conferiti e la volontà espressa dagli elettori, bensì dal fatto che il porcellum fallisce lo scopo a cui è preordinato in quanto non riesce ad assicurare l’uniformità dei risultati fra Camera e Senato.
Le elezioni, quindi, servono per l’investitura di un governo e di un Capo del Governo che non può più essere cambiato per la durata della legislatura: “quello che governa è per cinque anni responsabile”.
In che cosa si differenzia il pensiero di Renzi da quello di Berlusconi che, nella passata legislatura, ha rivendicato di essere stato eletto direttamente dal popolo con il mandato di governare per 5 anni ed ha accusato di tradimento del mandato popolare quei parlamentari che gli hanno voltato le spalle, negando l’appoggio al suo Governo?
Non si tratta forse della riproposizione, con altre parole, del modello di Arcore, del Capo politico che viene incoronato dal voto popolare con la maggioranza vincolata a sostenere il suo governo per rispetto del voto popolare?
Giustizia.
Secondo Renzi la storia di Silvio Scaglia (che ha scontato tre mesi di carcerazione preventiva e nove mesi di arresti domiciliari, venendo assolto all’esito del giudizio di primo grado) dimostra che la riforma della giustizia è ineludibile. Renzi si chiede come può esistere uno schieramento democratico che non senta come una vergogna che un cittadino possa essere arrestato senza avere la possibilità di difendersi. Naturalmente Renzi non spiega in che cosa sia consistita l’impossibilità di difendersi per il cittadino Scaglia e si guarda bene dal dire cosa intende per “riforma della giustizia”. Proprio per la vaghezza di questi concetti, su questo terreno risuonano sinistre le assonanze fra il pensiero di Renzi e gli obiettivi del gruppo di potere legato a Berlusconi che usa il medesimo linguaggio comunicativo. Basti ricordare, da ultimo, che dopo che si è diffusa la notizia del rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi a Napoli per la compravendita dei senatori, Mara Carfagna ha commentato la notizia, concludendo lapidaria: “la riforma della giustizia è ineludibile” e la sua collega Renata Polverini ha rincarato la dose, osservando che: “è sempre più evidente come la riforma della giustizia non possa essere ulteriormente rimandata”.
Qualcuno almeno dovrebbe spiegarci in cosa differisce l’ “ineludibile riforma della giustizia” invocata da Berlusconi dall’“ineludibile riforma della giustizia” invocata a Matteo Renzi.
Siamo curiosi di saperlo.