Appello dei giuristi
La proposta di riforma elettorale depositata alla Camera a seguito dell’accordo tra il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi consiste sostanzialmente, con pochi correttivi, in una riformulazione della vecchia legge elettorale – il cosiddetto “Porcellum” – e presenta perciò vizi analoghi a quelli che di questa hanno motivato la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della recente sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014.
Questi vizi, afferma la sentenza, erano essenzialmente due. Il primo consisteva nella lesione dell’uguaglianza del voto e della rappresentanza politica determinata, in contrasto con gli articoli 1, 3, 48 e 67 della Costituzione, dall’enorme premio di maggioranza – il 55% per cento dei seggi della Camera – assegnato, pur in assenza di una soglia minima di suffragi, alla lista che avesse raggiunto la maggioranza relativa. La proposta di riforma introduce una soglia minima, ma stabilendola nella misura del 35% dei votanti e attribuendo alla lista che la raggiunge il premio del 53% dei seggi rende insopportabilmente vistosa la lesione dell’uguaglianza dei voti e del principio di rappresentanza lamentata dalla Corte: il voto del 35% degli elettori, traducendosi nel 53% dei seggi, verrebbe infatti a valere più del doppio del voto del restante 65% degli elettori determinando, secondo le parole della Corte, “un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente” e compromettendo la “funzione rappresentativa dell’Assemblea”. Senza contare che, in presenza di tre schieramenti politici ciascuno dei quali può raggiungere la soglia del 35%, le elezioni si trasformerebbero in una roulette.
Il secondo profilo di illegittimità della vecchia legge consisteva nella mancata previsione delle preferenze, la quale, afferma la sentenza, rendeva il voto “sostanzialmente indiretto” e privava i cittadini del diritto di “incidere sull’elezione dei propri rappresentanti”. Questo medesimo vizio è presente anche nell’attuale proposta di riforma, nella quale parimenti sono escluse le preferenze, pur prevedendosi liste assai più corte. La designazione dei rappresentanti è perciò nuovamente riconsegnata alle segreterie dei partiti. Viene così ripristinato lo scandalo del “Parlamento di nominati”; e poiché le nomine, ove non avvengano attraverso consultazioni primarie imposte a tutti e tassativamente regolate dalla legge, saranno decise dai vertici dei partiti, le elezioni rischieranno di trasformarsi in una competizione tra capi e infine nell’investitura popolare del capo vincente.
C’è poi un altro fattore che aggrava i due vizi suddetti, compromettendo ulteriormente l’uguaglianza del voto e la rappresentatività del sistema politico, ben più di quanto non faccia la stessa legge appena dichiarata incostituzionale. La proposta di riforma prevede un innalzamento a più del doppio delle soglie di sbarramento: mentre la vecchia legge, per questa parte tuttora in vigore, richiede per l’accesso alla rappresentanza parlamentare almeno il 2% alle liste coalizzate e almeno il 4% a quelle non coalizzate, l’attuale proposta richiede il 5% alle liste coalizzate, l’8% alle liste non coalizzate e il 12% alle coalizioni. Tutto questo comporterà la probabile scomparsa dal Parlamento di tutte le forze minori, di centro, di sinistra e di destra e la rappresentanza delle sole tre forze maggiori affidata a gruppi parlamentari composti interamente da persone fedeli ai loro capi.
Insomma questa proposta di riforma consiste in una riedizione del porcellum, che da essa è sotto taluni aspetti – la fissazione di una quota minima per il premio di maggioranza e le liste corte – migliorato, ma sotto altri – le soglie di sbarramento, enormemente più alte – peggiorato. L’abilità del segretario del Partito democratico è consistita, in breve, nell’essere riuscito a far accettare alla destra più o meno la vecchia legge elettorale da essa stessa varata nel 2005 e oggi dichiarata incostituzionale.
Di fronte all’incredibile pervicacia con cui il sistema politico sta tentando di riprodurre con poche varianti lo stesso sistema elettorale che la Corte ha appena annullato perché in contrasto con tutti i principi della democrazia rappresentativa, i sottoscritti esprimono il loro sconcerto e la loro protesta. Contro la pretesa che l’accordo da cui è nata la proposta non sia emendabile in Parlamento, ricordano il divieto del mandato imperativo stabilito dall’art.67 della Costituzione e la responsabilità politica che, su una questione decisiva per il futuro della nostra democrazia, ciascun parlamentare si assumerà con il voto. E segnalano la concreta possibilità – nella speranza che una simile prospettiva possa ricondurre alla ragione le maggiori forze politiche – che una simile riedizione palesemente illegittima della vecchia legge possa provocare in tempi più o meno lunghi una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e, ancor prima, un rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica onde sollecitare, in base all’art.74 Cost., una nuova deliberazione, con un messaggio motivato dai medesimi vizi contestati al Porcellum dalla sentenza della Corte costituzionale. Con conseguente, ulteriore discredito del nostro già screditato ceto politico.
Roma, 25 gennaio 2014
Pietro Adami, Gaetano Azzariti, Mauro Barberis, Felice Besostri, Ernesto Bettinelli, Francesco Bilancia Michelangelo Bovero, Aldo Bozzi, Maria Agostina Cabiddu, Paolo Caretti, Lorenza Carlassare, Giovanni Cocco, Claudio De Fiores, Mario Dogliani, Anna Falcone, Antonello Falomi, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Domenico Gallo, Giovanni Incorvati, Roberto Lamacchia, Raniero La Valle, Fabio Marcelli, Antonio Matasso, Angela Musumeci, Alessandro Pace, Alba Paolini, Valentina Pazè, Paolo Ridola, Stefano Rodotà, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Carlo Smuraglia, Paolo Solimeno, Riccardo Terzi, Nadia Urbinati, Luigi Ventura, Massimo Villone, Ermanno Vitale.
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