La vittoria di Trump sta portando sconvolgimento e tempesta nei mercati finanziari, negli organismi dell’Unione Europea, nelle Cancellerie dei principali paesi, nei Parlamenti e si è abbattuta nel nostro Paese come un tornado, agitando le acque dello stucchevole dibattito sul referendum.
Ora vediamo come il blocco di potere che sostiene, con Renzi, il Sì al referendum tenta di giocare la carta Trump per accreditare la continuità del potere esistente come unica difesa rispetto al rischio di un sovvertimento populista. Però nello stesso tempo si rilanciano gli argomenti dell’antipolitica usati da Trump per il suo successo. Volete meno politici: basta un SI; volete tagliare 200 poltrone: basta un SI; volete dare meno soldi ai politici: basta un SI.
Quindi la Carta Trump viene usata due volte. Una prima volta come uno spauracchio per blindare il ceto politico di governo ricattando gli elettori col prospettare il rischio dell’avvento di un Trump italiano ed una seconda volta utilizzando il mantra dell’antipolitica, secondo la lezione di Trump, per catturare il consenso di coloro che sono disgustati dalle dinamiche del Palazzo.
E’ singolare che il ceto di governo utilizzi in contemporanea lo spauracchio Trump ed il linguaggio di Trump; in pratica che rilanci la contestazione qualunquista contro il sistema politico per rendere questo sistema, con la riforma costituzionale, ancora più impenetrabile e distante dai cittadini.
La lezione di quanto è avvenuto è invece esattamente l’opposto. Come scrive Raniero La Valle: “E’ proprio se arriva un’incognita come quella rappresentata da Trump, che è necessario che resti ben ferma la Costituzione che c’è, perché non si annulli la differenza esistente tra ciò che miseramente accade, e ciò che invece dovrebbe accadere, tra l’essere e il dover essere, tra il fatto e il diritto, tra la società che c’è e quella che secondo la Costituzione si dovrebbe costruire.”
Si dice che in ogni caso la riforma sarebbe positiva perché introduce un cambiamento, mentre il rigetto della riforma sarebbe un mero atto di conservazione del sistema politico avvizzito che ci troviamo; non a caso Renzi si è scelto come contraddittore in TV l’on. De Mita per rappresentare icasticamente lo scontro fra il passato, legato alla Costituzione del 48, ed il futuro, rappresentato dalla riforma Renzi/Boschi.
In realtà è vero tutto il contrario perché questa riforma non introduce uno scenario aperto sul futuro ma restaura un sistema di governo oligarchico, cancellando l’utopia della partecipazione popolare per determinare la politica nazionale, che i costituenti hanno scolpito nell’art. 49.
L’approvazione della riforma non corregge i mali della nostra vita istituzionale, non rende le istituzioni più aperte all’ascolto della società, non espande la sovranità popolare, non introduce una maggiore agibilità politica delle istituzioni rappresentative. Al contrario essa consolida questa situazione di degenerazione oligarchica e di erosione dei diritti dei cittadini, che ha creato una diffusa sensazione di sfiducia nella politica e nei suoi strumenti, cristallizzandola e rendendola irriformabile attraverso la camicia di forza della riforma della costituzione formale.
La riforma è un po’ come il sarcofago di cemento che è stato installato per seppellire la centrale di Chernobyl. Con la riforma i difetti del nostro sistema politico non saranno più modificabili.
Al contrario, bocciando la riforma si dà un’altra chance alla politica e si apre la strada alla possibilità del cambiamento.