La domenica delle salme / non si udirono fucilate / il gas esilarante/ presidiava le strade.” La canzone di Fabrizio De Andrè mi è tornata in mente pensando alla domenica delle palme, ribattezzata da un quotidiano “la domenica delle salme” per i sanguinosi attacchi di Daesh in Egitto, che hanno fatto strage di cristiani nella chiesa copta di Tanta ed in quella di Alessandria. Questo attacco non per caso è avvenuto nel giorno liturgico della domenica delle palme, quando si ricorda che Gesù è stato ucciso con l’accusa di aver minacciato la distruzione del tempio. Questo sovraccarico di simboli religiosi dice che i terroristi dello Stato islamico hanno assoluto bisogno di far passare la loro guerra per una guerra religiosa, volta a islamizzare il pianeta. Naturalmente la loro non è una guerra “religiosa”, ma una guerra “politica”, frutto di un risentimento e di un desiderio di vendetta contro l’Occidente che trova alimento soffiando sul fuoco dell’integralismo religioso. Per consumare questa vendetta l’ISIS ha bisogno di un simbolo forte, la religione. Il simbolo non è la ragione della guerra, è la sua narrazione, la sua legittimazione popolare. Le guerre hanno sempre avuto bisogno di nomi e di simboli, ma oggi più che mai. La massima potenza simbolica storicamente messa a disposizione della guerra è quella di Dio: la guerra santa, la guerra giusta, cioè giustificata da Dio, la guerra fatta in suo nome, la guerra per la terra promessa da Dio, la guerra agli infedeli, le crociate, Costantino, “in hoc signo vinces”. Lo “Stato islamico” ci prova di nuovo a dissotterrare l’ascia di guerra in nome di Dio. La guerra all’Occidente, o quella contro i rivali interni alla stessa Umma musulmana, è guerra di religione. Ma la comunità islamica – come ci ricorda Raniero La Valle – non è affatto d’accordo, non pensa a un Maometto sempre con la spada, e il 19 settembre 2014 leader islamici di tutto il mondo hanno scritto al sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi sconfessando la sua azione che fa dell’ Islam “una religione di durezza, brutalità, tortura e assassinio”. Ma Daesh insiste, senza la religione non può fare la guerra, e se Gesù voleva “di – struggere” il tempio, esso attacca le chiese cristiane in nome del tempio, in nome di Dio. Quello che gli strateghi dello Stato islamico non capiscono e che determinerà la loro sconfitta è che per fare la guerra di religione bisogna essere in due. Ha scritto Raniero La Valle: “L’Occidente la farebbe volentieri (la guerra), come l’ha sempre fatta anche se mascherata in molteplici forme, ma non la può più fare, perché il papa di Roma gliel’ha tolta dalle mani, dicendo che “il Dio della guerra non esiste”: cioè presentando al mondo un messaggio nuovo, che rivela un’altra immagine, un’al – tra identità di Dio. Rispetto al Dio di violenza e di guerra i cristiani, a sentire papa Francesco, sono atei”. Dunque c’è un impedimento alla guerra anche se la destra xenofoba in Europa, e specialmente in Italia, soffia sul fuoco dello scontro di religione. Ricordate quel quotidiano italiano che l’indomani della strage del Bataclan a Parigi, il 14 novembre 2015, titolò “bastardi islamici”? Tuttavia è difficile che i Le Pen, i Salvini ed i Wilders possano alzare di nuovo la bandiera del Dio degli eserciti se il Papa di Roma quella bandiera l’ha ammainata definitivamente. Questo non vuol dire che i pericoli di guerra siano scongiurati. Per adesso se il vento della guerra di religione trova ostacoli imprevisti, i venti di guerra soffiano in tutte le direzioni, basta pensare al riaprirsi della questione coreana che sessant’anni fa fu sul punto di far precipitare il mondo in una guerra nucleare. “Ma il problema – osserva ancora Raniero La Valle – è che se in passato il mondo armato di atomiche è stato in mano di apprendisti stregoni e ne è uscito indenne, oggi non si tratta più di apprendisti, si tratta proprio di stregoni che hanno imparato il mestiere. L’allarme di massimo pericolo che ne scaturisce dovrebbe scuotere questa generazione, svegliarla dal sonno della ragione e mobilitarla perché salga a resistere e a cambiare il corso della storia”.