Molte nubi si addensano all’orizzonte: mentre in Groenlandia si sciolgono i ghiacci, il polmone verde della terra, l’Amazzonia, brucia, incendiata dalla cupidigia dei nuovi cercatori d’oro; in Gran Bretagna il primo Ministro Johnson umilia una tradizione millenaria, chiudendo il Parlamento per non essere ostacolato nella sua corsa verso l’uscita dall’Unione Europea senza accordi (no deal); in Israele il Primo Ministro Netanyahu cerca di farsi rieleggere promettendo l’annessione della Valle del Giordano, cioè di cancellare ogni possibilità di autodeterminazione della nazione palestinese.
Nel nostro paese la possibilità di una brexit italiana, che avrebbe fatto implodere l’Europa, è fortunosamente evaporata sotto il sole di ferragosto ed è definitivamente svanita con la fiducia accordata questa settimana al nuovo governo.
Si è trattato di una nascita travagliata: dai tempi della guerra fredda non si registrava un clima di violenza verbale come quello che si è visto alla Camera ed al Senato in occasione del dibattito sulla fiducia, mentre in piazza si metteva in scena la collera degli sconfitti fra un tripudio di saluti romani.
Come nel 1948, si è trattato, con modalità drammatiche, di una scelta di campo che – nelle circostanze attuali – riguarda la natura della democrazia e la visione del futuro.
Non v’è dubbio quindi che si sia verificata una discontinuità rispetto ad un corso delle cose che rischiava di precipitare il nostro Paese e l’Europa in una situazione di massimo pericolo.
A nostro avviso la vera di novità che si può cogliere nelle dichiarazioni del Presidente Conte non risiede nell’elencazione di una serie di obiettivi programmatici, necessariamente generici e volti a non scontentare nessuno. Essa risiede nell’utilizzo di un linguaggio nuovo. Ha dichiarato il Presidente del Consiglio: “La lingua del Governo sarà una lingua mite, perché siamo consapevoli che la forza della nostra azione non si misurerà con l’arroganza delle nostre parole. (..) Faccio mie le parole pronunciate da Giuseppe Saragat nella seduta inaugurale dell’Assemblea Costituente: “Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano. Ricordatevi che la democrazia non è soltanto un rapporto fra maggioranza e minoranza, non è soltanto un armonico equilibrio di poteri sotto il presidio di quello sovrano della nazione, ma è soprattutto un problema di rapporti fra uomo e uomo. Dove questi rapporti sono umani, la democrazia esiste; dove sono inumani, essa non è che la maschera di una nuova tirannide”.
Lavoriamo dunque – ha proseguito Conte – per promuovere una democrazia autenticamente umana. In questa prospettiva il nostro Governo si richiamerà costantemente a un quadro consolidato di principi e valori (..). Sono principi che ritengo non negoziabili, perché universali. (..) Sono i principi iscritti nella nostra Costituzione e che (..) ho più volte richiamato sintetizzandoli con la formula riassuntiva “nuovo umanesimo”: il primato della persona, alla quale la Repubblica riconosce i diritti inviolabili e allo stesso tempo richiede l’adempimento di inderogabili doveri di solidarietà; il lavoro come supremo valore sociale, in quanto rende ogni uomo cittadino pleno iure in grado di concorrere insieme agli altri al progresso materiale e spirituale della società; l’uguaglianza, nelle sue varie declinazioni, formale, sostanziale; il principio di laicità e la tutela della libertà religiosa; il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti e la promozione della pace e della giustizia tra le nazioni. All’interno di questi valori, in questa cornice di riferimento costituzionalmente caratterizzata, si ascrive la nostra azione riformatrice.”
Abbiamo osservato che le parole sono importanti e che il nuovo governo deve dare avvio ad una bonifica del clima culturale. Le dichiarazioni di Conte sono un buon inizio; le parole sono preziose, ci sono parole che nutrono, parole che accarezzano, parole che vivificano, parole che guariscono, ma non bisogna farle appassire, non bisogna sprecarle. Per farle vivere bisogna confrontarle con i nudi fatti che da esse devono generare. La vicenda della nave Ocean Viking, con il suo carico di esseri umani alla deriva, è il primo banco di prova del nuovo umanesimo annunciato.
Come ha scritto Cesare Pavese: “le parole sono tenere cose, intrattabili e vive, ma fatte per l’uomo e non l’uomo per loro. Sentiamo tutti di vivere in un tempo in cui bisogna riportare le parole alla solida e nuda nettezza di quando l’uomo le creava per servirsene.”