È il titolo di un film horror del 1991 tratto da un romanzo di Stephen King giocato sul tema del terrore suscitato dal ritorno dei fantasmi dei protagonisti di un tragico fatto di sangue. In realtà anche gli eventi della politica possono richiamare la trama di un film horror quando fanno riapparire nel nostro cielo i fantasmi di un passato orribile da cui credevamo di esserci liberati.
“Sono tornato” è il titolo del film di Luca Miniero, uscito nel febbraio 2018, fondato su una intuizione di fantapolitica: il 28 aprile 2017 nel bel mezzo di Piazza Vittorio, cuore multietnico della Capitale, si materializza il Duce in persona, risorto proprio nel giorno della sua morte. La trama del film si confronta con l’ambiguità dei sentimenti di fascino o ripudio che la riapparizione traumatica del Duce può provocare.
Tutti quanti abbiamo sorriso di questa provocazione, però adesso, dopo due anni scopriamo che si tratta di una profezia nera che si sta autoavverando. Non a Roma, ma a Budapest il Duce è risorto, non il 28 aprile 2017, ma il 30 marzo 2020 quando il Parlamento ungherese ha votato una legge che concede al premier Viktor Orban pieni poteri a tempo indeterminato per fronteggiare l’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia del COVID-19.
Quella approvata dal Parlamento è una legge-cardine basata sull’art. 53 della discussa Costituzione ungherese del 2011 che prevede che nel caso di calamità naturali o di altri disastri, possano essere concessi poteri straordinari al Governo. La legge prevede (art. 2) che il Governo, mediante decreto, “può sospendere l’applicazione di talune leggi, introdurre deroghe a disposizioni normative e adottare altre misure necessarie per tutelare la vita, la salute, i beni, la sicurezza giuridica dei cittadini e la stabilità dell’economia nazionale”. Il Parlamento non può mettere becco in tali decreti, che non devono essere sottoposti ad alcun tipo di controllo, mentre il Governo ha solo l’obbligo di informare il Presidente dell’Assemblea nazionale ed i capi dei gruppi parlamentari sulle misure adottate. Sono inoltre introdotte due nuove disposizioni penali, una in particolare riscrive l’art. 337 del codice penale rendendo possibile la criminalizzazione con sanzioni fino a cinque anni di carcere tutti coloro che diffonderanno critiche sulla gestione dell’allarme sanitario, sullo stato della sanità pubblica o su altre decisioni del potere politico. Durante il periodo dell’emergenza non si potranno svolgere consultazioni elettorali di nessun tipo. La legge non pone alcun limite temporale all’esercizio di questi poteri straordinari e sarà lo stesso Orban a decidere a suo insindacabile giudizio quando porre fine allo stato di emergenza. In sostanza, prendendo a pretesto l’emergenza sanitaria, Orban si è fatto incoronare Duce. Di slancio è riuscito persino a superare il suo modello, facendosi attribuire dal Parlamento un potere superiore a quello che il Parlamento del Regno aveva attribuito a Benito Mussolini con la legge 24 dicembre 1925 n. 2263 sulle attribuzioni e prerogative del Capo del Governo. Con quella legge veniva attribuito al Governo, che non aveva più bisogno di ottenerne la fiducia, il controllo dell’attività delle Camere (art. 6 “nessun oggetto può essere messo all’ordine del giorno di una delle due Camere, senza l’adesione del Capo del Governo”), ma il potere legislativo restava pur sempre in capo al Parlamento, che non poteva essere chiuso o sospeso neppure dal Duce.
In realtà la legge sui pieni poteri a Orban non arriva come un fulmine a ciel sereno ma è lo sbocco di un processo politico-costituzionale che ha portato a smantellare, passo dopo passo, i meccanismi dello Stato di diritto in Ungheria mirando all’instaurazione di una “democrazia illiberale”, come definita dai suoi stessi artefici.
L’evoluzione in atto in Ungheria costituisce un oltraggio ai principi su cui si basa la convivenza fra le nazioni Europee poiché “l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani” (art. 2 TUE). L’UE aderisce alla CEDU, precisando (art.6) che: “I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”. Il 12 settembre 2018, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione proponendo al Consiglio Europeo di constatare l’esistenza di violazioni gravi e persistenti dei principi fondamentali da parte dell’Ungheria e di disporre le sanzioni previste dai Trattati. La risoluzione individua i punti di crisi praticamente in tutti gli aspetti della vita politico istituzionale, in particolare per quanto riguarda, fra l’altro, il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, le limitazioni all’indipendenza della magistratura e delle altre istituzioni e i diritti dei giudici, le limitazioni alla libertà di espressione, alla libertà accademica, alla libertà di religione e di associazione. Una particolare attenzione viene dedicata alla violazione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze, inclusi rom ed ebrei, e dei diritti fondamentali di migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Infine per quanto riguarda i diritti economici e sociali, la Risoluzione punta il dito contro la criminalizzazione dei senza tetto, la mancanza di protezione dei diritti sociali e l’inibizione del diritto di sciopero, reso illegale in via di principio dal dicembre 2010.
L’11 settembre 2018 nel Parlamento europeo si è svolta la discussione sulla proposta di risoluzione, a fronte delle gravissime contestazioni sollevate dalla relatrice, Judith Sargentin, i deputati sovranisti hanno fatto quadrato attorno ad Orban. Nell’occasione la deputata leghista italiana Mara Bizzotto così si è espressa: “benvenuto Presidente Orbán. Lei, carissimo Orbán, è un eroe dentro questo Parlamento, un eroe che lotta per la libertà e la sovranità del proprio popolo, contro l’Unione sovietica europea. Il popolo ungherese è sotto attacco di questa Europa, schiava delle lobby, delle banche e dei finanzieri alla Soros. Ecco perché oggi Bruxelles attacca Orbán in Ungheria, e domani attaccherà l’Italia e il nostro leader Matteo Salvini, che con grande coraggio sta fermando l’immigrazione clandestina. Presidente Orbán, noi abbiamo gli stessi valori, i valori di chi vuole difendere la propria identità e la sovranità popolare, i valori di chi vuole difendere le frontiere e dire di no all’invasione di immigrati clandestini. “
Non c’è da meravigliarsi quindi se Salvini abbia respinto ogni critica verso il premier ungherese mettendo in evidenza che vi è stata una votazione democratica di un Parlamento democraticamente eletto, non nascondendo una punta d’invidia per quei “pieni poteri” che l’estate scorsa egli aveva rivendicato senza successo.
Ha osservato Magistratura Democratica: “La riforma per i pieni poteri al governo ungherese dimostra che le situazioni di crisi possono diventare l’occasione per liberarsi dei vincoli della democrazia e degli ostacoli che le sue Istituzioni e le sue regole pongono all’accentramento dei poteri e all’alterazione del sistema costituzionale. Oggi, più che mai, occorre vigilare sugli sviluppi che in tutta Europa può avere il processo di regressione della democrazia, che ha portato all’affermazione di democrazie illiberali anche nei paesi dell’Unione e che, in nome del ritorno alla sovranità nazionale, ha dato impulso al progetto di disgregazione dell’Europa unita, quale comunità fondata sui diritti e sui valori universali e indivisibili di solidarietà, eguaglianza e pari dignità delle persone.”
Poiché il modello ungherese affascina tanto i politici italiani, massima deve essere la consapevolezza dei rischi che corriamo nel nostro paese. Negli anni 30 del secolo scorso gli antifascisti si mobilitavano al grido di Carlo Rosselli: oggi in Spagna, domani in Italia. In questo tempo infame in cui i valori dell’antifascismo sono rovesciati, la pandemia può essere un’ottima occasione per importare in Italia il modello Ungherese: oggi in Ungheria, domani in Italia?
Domenico Gallo