Per favore non indossate l’elmetto!

La politica ha indossato l’elmetto ed è scesa simbolicamente in guerra. Però questa settimana è stata superata un’ulteriore soglia, col passaggio dalle parole alle azioni di guerra con l’invio di armamenti letali all’Ucraina

Ecco gli elmi dei vinti

e quando un colpo

ce li ha sbalzati dalla testa

non fu allora la disfatta

fu quando obbedimmo

e li mettemmo in testa.

Questa poesia di Bertold Brecht è il miglior commento possibile al momento drammatico che stiamo vivendo in perfetta incoscienza.

Da quando è iniziata la tragedia della guerra il 24 febbraio, non è esploso soltanto un conflitto fondato sulla violenza delle armi, è dilagato in tutt’Europa lo spirito nefasto della guerra, si è materializzata l’immagine del nemico ed è iniziata una mobilitazione bellica della comunicazione, della cultura, delle coscienze. La condanna secca e senza appello dell’aggressione russa all’Ucraina si è trasformata velocemente nell’acritica accettazione della logica della guerra. Di fronte a questo disastro, segno tangibile del fallimento della politica di sicurezza e cooperazione in Europa, le principali forze politiche, non solo in Italia, con il conforto del fuoco di sbarramento unanime dei mass media, hanno assunto il linguaggio della guerra e si sono esercitate in una guerra delle parole contro il nemico. Lo spirito di guerra comporta una divisione manichea dell’umanità, per cui tutto il male sta dalla parte del nemico e tutto il bene dall’altra. Il dissenso non è tollerato perché giova al nemico. Così l’ex deputata europea Barbara Spinelli è stata additata come filoputiniana per aver scritto sul Fatto che “il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Ue non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria” ed il corrispondente della RAI Marc Innaro è stato oggetto dei fulmini del PD per aver osservato: “basta guardare la cartina geografica per rendersi conto che chi si è allargato negli ultimi trent’anni non è stata la Russia, è stata la NATO.” Ma il linciaggio mediatico più velenoso è quello effettuato contro l’ANPI ed il suo Presidente, Gianfranco Pagliarulo, reo di aver scritto – in un comunicato precedente all’invasione russa – che “l’allargamento della Nato a Est è stato vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia”.  Non sono ammesse critiche sugli indirizzi di ordine politico che ci hanno fatto passare dallo smantellamento della guerra fredda, frutto delle scelte di disarmo e di distensione della politica di Gorbaciov, ad una nuova corsa al riarmo ed al confronto politico militare con la Russia di Putin, adesso drammaticamente sfociato in una guerra “calda” con l’invasione dell’Ucraina. Anzi non solo non sono ammessi ripensamenti, ma addirittura c’è la consacrazione di quelle scelte al punto che il segretario del PD, Enrico Letta, in una recente intervista alla Stampa ha dichiarato “Quello che è successo dimostra che la Nato doveva fare entrare l’Ucraina prima. E che l’alleanza atlantica serve perché la democrazia va difesa”.

Insomma la politica ha indossato l’elmetto ed è scesa simbolicamente in guerra. Però questa settimana è stata superata un’ulteriore soglia, col passaggio dalle parole alle azioni di guerra. Il Presidente del Consiglio Draghi nelle sue comunicazioni alle Camere, il primo marzo, ha motivato la decisione di inviare armi al governo ucraino, con queste parole:

“L’Italia ha risposto all’appello del presidente Zelensky, che aveva chiesto equipaggiamenti, armamenti e veicoli militari per proteggersi dall’aggressione russa. È necessario che il Governo democraticamente eletto sia in grado di resistere all’invasione e difendere l’indipendenza del Paese.” Quindi Draghi ha aggiunto: “La minaccia portata oggi dalla Russia è una spinta a investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora.” In sostanza la lezione che il governo trae da questi fatti è che bisogna incrementare la corsa agli armamenti. L’unica opzione esistente – secondo Draghi – è :” scegliere se farlo a livello nazionale oppure europeo.” Lo scenario che si prefigura è quello della costruzione di un’Europa come potenza militare, armata fino ai denti, che costruisce le relazioni con i suoi vicini fondate sull’intimidazione invece che sul dialogo e la cooperazione: insomma la guerra fredda permanente.

Quello che non è stato spiegato al Parlamento e all’opinione pubblica è che la legge italiana sulla neutralità (R.D. 1938 n. 1415, All. B, art. 8)  vieta di fornire armi ai paesi in guerra. La ragione è semplice: chi fornisce armi ad un paese in guerra partecipa al conflitto e quindi non può essere più considerato neutrale. Con l’invio di uno stock imprecisato e secretato di armamenti e di mezzi bellici, l’Italia abbandona la neutralità e diviene un paese belligerante, sia pure per interposta persona. Insomma, armiamoci e partite!

Queste forniture – ha scritto la rivista militare Analisi Difesa – ci rendono a tutti gli effetti “belligeranti” contro la Russia. Si tratta di un atto di ostilità in senso tecnico, che come tale è stato percepito dalla Russia. In una nota ripresa dalla Tass il ministero degli Esteri russo dichiara: “Coloro che sono coinvolti nella fornitura di armi letali alle forze armate ucraine saranno responsabili delle conseguenze di queste azioni.”

Come si vede si tratta di una scelta gravida di conseguenze imprevedibili. Dalla doverosa condanna dell’ingiustificabile aggressione russa, siamo  passati – sia pure ambiguamente – alla partecipazione al conflitto armato. Quasi senza accorgercene ci hanno calato in testa l’elmetto e arruolato nella guerra contro la Russia. In questo modo si alimenta il conflitto e si rende più impervia la strada per una soluzione negoziata. E quel che è ancora più grave si crea un’ulteriore pericolo di escalation della guerra, rendendo più probabile il coinvolgimento della NATO.

E allora togliamoci gli elmetti prima che un colpo fatale ce li sbalzi dalla testa.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

5 pensieri riguardo “Per favore non indossate l’elmetto!”

  1. va così modificato: “Art.11 l’Italia ripudia la guerra per la soluzione dei conflitti ma promuove le triangolazioni di armi e denaro per sostenerla fuori dai suoi confini”

  2. Tutto giusto e condivisibile, ma mi permetto una considerazione e una domanda.
    Per bollare la illegittima fornitura di armi, nel nostro ordinamento, a cominciare dalla Costituzione, non c’è di meglio che un R.D. di infelice memoria fascista?
    La domanda. Cosa bisognerebbe fare, hinc et nunc, per sottrarre i bambini e perchè no, anche i loro fratelli e sorelle, i genitori e i nonni, alla quotidiana morte per guerra? E’ l’eterna e sempre valida domanda del “che fare?”.

    1. Caro Luigi, quel Regio Decreto non era tanto male, conteneva delle limitazioni all’uso della violenza bellica (che ovviamente non sono state rispettate da nessuno). Resta il problema cosa possiamo fare per sottrarre le vittime alla morte quotidiana. Purtroppo l’unica misura di salvezza è imporre il cessate il fuoco, ma non è in nostro potere visto il fallimento delle nostre sventurate diplomazie. L’unica cosa che possiamo fare è cercare di alleviare le sofferenze della popolazione, accogliendo i profughi, inviando materiali sanitari, dobbiamo fornire strumenti che aiutino a vivere, non a uccidere e a essere uccisi

  3. Le armi servono a difendere le vite dei nostri cari. Cosa sarebbe successo se gli ebrei avessero impugnato le armi contro i nazisti?
    No sarebbero morti come povero gregge ma come leoni che lottano contro la più grave dei peccati : la banalizzazione del male

  4. Ho ricevuto questo messaggio da Alessandro Capuzzo
    Corpo del messaggio:
    salve, ho letto con interesse il tuo articolo https://www.domenicogallo.it/2022/03/per-favore-non-indossate-lelmetto/ e riguardo all’argomento neutralità ti segnalo la particolarissima situazione di Trieste, disarma e neutrale per il Diritto internazionale, e ti propongo la lettura del seguente comunicato, rimasto pressoché impubblicato.

    TRIESTE, LE ARMI, REGENI, E L’EGITTO
    Sul sito weaponwatch.net è pubblicato l’articolo di Carlo Tombola sulle spedizioni record di armi dal porto di Trieste all’Egitto; città nella quale Giulio Regeni nato a Fiumicello sull’Isonzo ha svolto gli studi. L’Egitto è divenuto il primo partner italiano per forniture d’armi, in violazione italiana della legge 185/’90, e larga parte di queste armi per un valore di oltre due miliardi di euro sono transitate da Trieste.
    https://www.weaponwatch.net/2022/02/24/armi-e-tecnologie-militari-allegitto-un-flusso-in- forte-crescita-attraverso-il-porto-di-trieste-citta-dove-visse-e-studio-giulio-regeni/
    Con questa fornitura l’Italia contravviene anche al Diritto internazionale, poiché nel Trattato di Pace del 1947 si statuisce che Trieste è territorio smilitarizzato e neutrale. Ruolo disciplinato con la Risoluzione 16 dal Consiglio di Sicurezza, e confermato dall’ex Segretario Onu Ban Ki Moon in una lettera al Presidente palestinese Abu Abbas.
    La degenerazione della situazione in Ucraina può determinare una nuova guerra nei Balcani dove la Serbia teme per la sua sicurezza, essendo circondata dalla Nato che nel ’99 l’ha bombardata; mentre l’entità Serba di Bosnia si sta separando dalla Federazione tripartita. L’annuncio del Presidente croato sul ritiro dei soldati dal fronte con l’Ucraìna, in caso la Nato decida di contro attaccare va letta in questo senso. Il parallelo poi fra le situazioni del Kosovo la cui indipendenza è stata imposta contro il Diritto internazionale, e della Crimea annessa con motivate ragioni quasi per ripicca dalla Russia, fornisce altri motivi di preoccupazione.
    Trieste neutrale inserita nel sistema del Diritto internazionale può offrire stimolo e luogo adeguati a comporre la crisi per vicinanza storica geografica e culturale.

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