Siamo arrivati al quindicesimo giorno di guerra e ancora non sappiamo se e quando arriverà il cessate il fuoco. Quello che è certo è che il linguaggio della guerra si fa sempre più duro e coinvolge l’opinione pubblica, i media e la cultura ancor più che i governi che da questa e dall’altra sponda dell’Atlantico reagiscono agli eventi. La reazione prevalente non è quella della condanna della Russia per aver sollevato l’ascia di guerra che la Carta dell’ONU voleva definitivamente sepolta, ma quella della partecipazione al conflitto, sia pure con mezzi diversi (per ora) dal ricorso alla violenza bellica.
I giornali e le TV hanno indossato l’elmetto e arruolano l’opinione pubblica in una guerra di parole contro il nemico, mentre i governi studiano sanzioni sempre più pesanti per affondare l’economia e isolare la Russia dal resto del mondo. In questa guerra delle parole si è schierata, purtroppo, anche la RAI, adeguandosi ad una direttiva venuta dalle principali agenzie occidentali, ed ha ritirato i propri corrispondenti ed inviati dalla Russia. Ricordiamo che durante la seconda guerra del Golfo (2003), le inviate della RAI, hanno trasmesso da Bagdad, sebbene il regime di Saddam Hussein non fosse paladino della libertà dell’informazione. Anzi se ci sono stati degli attacchi ai corrispondenti di guerra, questi sono venuti dagli americani, visto che un carro armato USA, l’8 aprile 2003 ha sparato contro l’hotel Palestine, quartier generale della stampa estera a Bagdad, uccidendo i cameraman Taras Protsyuk, ucraino della Reuters, e Jose Couso, spagnolo di Telecinco.
Il governo italiano, adeguandosi a decisioni prese altrove, ha (non solo simbolicamente) arruolato il nostro paese nella guerra, decidendo la fornitura di armi letali (il cui elenco è stato rigorosamente secretato) all’Ucraina. Abbiamo già osservato che l’invio di armi ad un paese in guerra è una violazione della neutralità. La costituzionalista Alessandra Algostino ha osservato: “L’invio di armi è una forma di partecipazione alla guerra e la esacerba: è contro il ripudio della guerra ed è contro l’idea di una comunità internazionale fondata sulla pace e sulla giustizia fra le Nazioni..” (il manifesto, 9 marzo). In effetti sia gli USA, sia i principali paesi dell’Unione Europea, fornendo le armi, stanno partecipando alla guerra contro la Russia, mostrandosi disponibili a combattere gli invasori fino all’ultimo uomo (ucraino). Il Presidente Zelensky, nei suoi continui collegamenti video con l’Occidente, l’ultimo con il Parlamento inglese, ricattandoci con le sofferenze del suo popolo ed esaltandone la volontà di resistenza sino all’estremo, cerca di coinvolgerci direttamente nello scontro armato chiedendo che la NATO istituisca una “no fly zone” sui cieli dell’Ucraina. Vale a dire che si impegni in una guerra aerea con l’aviazione della Russia. La via verso il disastro è aperta, se avessimo seguito i consigli di Zelensky la terza guerra mondiale sarebbe già scoppiata. Non è ancora successo, ma siamo ancora seduti sull’orlo dell’abisso.
Secondo Carl von Clausewitz, la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi. Questo è quello che ha inteso fare Putin, cercando di tagliare con la spada il nodo dei conflitti politici e d’interesse che lo dividono dall’Ucraina. Però questo assioma si può rovesciare nel suo contrario: la politica può essere la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Nel suo articolato saggio pubblicato su Limes (la via verso il disastro) il generale Fabio Mini ci spiega con dovizia di particolari che la guerra non solo era prevedibile, ma era anche prevenibile. Non si è voluto fare niente per prevenirla, anzi fino all’ultimo non si è arretrato di un passo sul principio “non negoziabile” della libertà dell’Ucraina di scegliersi le alleanze che vuole, né si è fatto nulla per fermare le continue violazioni della tregua nel Donbass. Non dobbiamo stancarci di chiedere il cessate il fuoco, però è evidente che non si potrà mai ristabilire la pace se non si pone mano alla soluzione dei nodi politici che hanno innescato la guerra. Ci vuole una visione del futuro. Il 14 agosto del 1941, quando le armate naziste dilagavano dall’Atlantico agli Urali, il Presidente degli Stati Uniti, Roosvelt e il primo ministro inglese Churchill sentirono l’esigenza di tracciare un nuovo scenario prefigurando il mondo che sarebbe venuto fuori dopo la guerra. Per questo rilasciarono una dichiarazione comune, nota come Carta Atlantica, che preconizzava un nuovo ordine mondiale pacifico e divenne la base per la nascita dell’ONU.
Quale futuro ci prefigurano il riarmo della Germania e l’accanimento di USA e GB per l’irrogazione di sanzioni sempre più soffocanti nei confronti della Russia? In particolare continueranno le continue provocazioni allo scontro della Gran Bretagna, volte ad annullare il ruolo internazionale dell’Unione europea e a destabilizzare l’Euro?
Si uscirà dalla guerra con una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa o si proseguirà la guerra contro la Russia con altri mezzi, cercando di metterla in ginocchio con le sanzioni, come si fece con l’Irak, di sfiancarla con la corsa al riarmo e di rendere perpetua la nuova cortina di ferro?
Quale futuro dobbiamo aspettarci? Dipende anche da noi.
Carissimo Domenico
Ottimo articolo, come sempre…
Un caro saluto di pace
Condivido pienamente, caro Domenico!
Caro Domenico, continuiamo un discorso che abbiamo iniziato qualche settimana fa, quando ancora questa tragedia non era iniziata, le truppe russe si ammassavano ai confini dell’Ucraina, Biden profetizzava l’imminente invasione, e Putin diceva che si trattava di farneticazioni americane: Ora, almeno, sappiamo che Biden aveva visto giusto, e che Putin mentiva sapendo di mentire. Io, come te e come tutti, sono certo preoccupato per la piega che stanno prendendo gli eventi, e vorrei tanto che le armi tacessero e cominciassero a parlarsi le diplomazie. Sta di fatto che già allora avevo avvertito nel documento che mi avevi inviato un pregiudizio antioccidentale che ora trovo confermato in questo Tuo articolo, nel quale, con la sapienza che Ti è proprio e che Ti riconosco volentieri, il problema, hic et nunc, non sembra più tanto quello dell’invasione che è in atto e delle morti provocate dall’aggressore, quanto piuttosto quello che non si è fatto in passato proprio per prevenire. L’unica cosa da prevenire sarebbe quella di impedire che l’aggressione prosegua e che l’aggressore raccolga i frutti della sua aggressione. Poi, quando tutto questo sarà finito, tra gli Storici, e se vuoi, anche tra i commentatori occasionali come ovviamente siamo noi, potremo anche interrogarci sul perchè si sia arrivati a questo punto. Un po’ come si è fatto dopo l’ultima guerra mondiale, quando si è addebitato alle pesanti penalizzazioni inflitte alla Germani una parte delle responsabilità che avevano portato la Germania a scegliere Hitler, E tuttavia, con una grande differenza rispetto all’oggi, perchè Putin è al potere dal 1999, quando molti paesi ex satelliti non avevano ancora spontaneamente aderito allaNATO, e ci è arrivato sull’onda della guerra in Cecenia che è riuscito a risolvere a modo suo, cioè, più o meno, come sta provando a fare oggi. La mia stima personale verso la Tua persona è immutata, ma la divaricazione politica diventa sempre più netta. Del resto, l’avevo previsto nel 2016 allorché, all’indomani della vittoria del NO in quel referendum, per il quale ci eravamo fortemente e solidalmente battuti, avevo tenuto a precisare che sulla difesa della Costituzione ci saremmo sempre agevolmente ritrovati, ma sulle politiche ci saremmo inevitabilmente differenziati. Un cordialissimo saluto.
Caro Enzo,
ti ringrazio del tuo commento. La guerra è una situazione estrema e mette in discussione la stessa possibilità di avere un dibattito pubblico sereno. Io vedo che è più facile scagliarsi anatemi che fare dei ragionamenti sul filo dei fatti. E’ chiaro che l’urgenza è quella di mettere fine all’aggressione e ottenere il cessate il fuoco, su questo sento che siamo assolutamente d’accordo. Il problema è come si esce da questa crisi e per andare in quale direzione. Qui le nostre valutazioni divergono perchè facciamo una lettura diversa degli eventi geopolitici, però il confronto è sempre utile, è la gloria della democrazia.
Un cordialissimo saluto
Caro Domenico, sono molto d’accordo sulla necessità di un progetto e sulla considerazione che questa situazione è sicuramente anche frutto di pregresse scelte sbagliate
Credo però anche che in questo momento la priorità sia cessare questa mattanza di civili atroce, e su questo ho molti più dubbi che certezze
Dialogare con chi ti spara addosso è sempre difficile
Grazie comunque per le tue sempre sagge e stimolanti
Cara Anna,
ti ringrazio per il tuo commento. Anch’io penso che il problema fondamentale in questo momento è arrestare la strage in corso e sento con dolore e angoscia la nostra impotenza
Parlare di ricatto per definire gli appelli disperati di Zelensky mi pare semplicemente un’infamia.
Non è un’infamia, è la verità. Zelenski utilizza la sofferenza del suo popolo per indurre un forte senso di solidarietà con il suo governo e provocare un intervento armato dei paesi NATO. Il problema non è di difendere l’aggredito allargando il conflitto, ma di difendere il popolo ucraino spegnendo il conflitto.