Il sacrificio del soldato Letta

Sono caduti nel vuoto gli appelli rivolti da più parti per la costruzione di un’alleanza antifascista nei collegi maggioritari per contrastare l’avvento di una destra illiberale, nemica giurata della democrazia costituzionale

Les jeux son faits, rien va plus, è la formula che usano i croupier per dichiarare chiusa la fase delle puntate di gioco e avviare la roulette. Ormai i giochi sono fatti, sono scaduti i termini elettorali, le forze  politiche si sono composte o scomposte nelle formazioni ormai definite che affronteranno la competizione elettorale. Sono caduti nel vuoto gli appelli rivolti da più parti per la costruzione di un’alleanza antifascista nei collegi maggioritari per contrastare l’avvento di una destra illiberale, nemica giurata della democrazia costituzionale. Date le caratteristiche tecniche del Rosatellum che comprime al massimo la volontà degli elettori, le elezioni si perderanno o si vinceranno nella quota maggioritaria. Ormai è sicuro che nei collegi uninominali ci sarà un solo candidato su cui si concentreranno i voti della destra, mentre i voti di tutte le altre forze politiche saranno divisi fra il candidato del PD (con appendici di Più Europa e Sinistra italiana), il candidato dei 5 Stelle, quello di Calenda-Renzi e quello di Unione Popolare. In queste condizioni è altamente probabile che la destra faccia cappotto e conquisti una maggioranza parlamentare che vada ben oltre il 50%, consentendole di realizzare i suoi progetti più pericolosi (su cui ci soffermeremo in seguito). Quest’esito largamente prevedibile non è frutto del fato cinico e baro, ma di una precisa scelta politica di Letta, che ha rotto l’intesa stipulata in precedenza con il Movimento 5 Stelle (il c.d. campo largo), accettando stoicamente la (prevedibile) sconfitta. Diciamo la verità, una scelta così apparentemente inspiegabile deve avere una ragione profonda e, da un certo punto di vista, nobile. Quando c’è una guerra in corso si richiede a tutti il massimo spirito di sacrificio. Il soldato Letta si è sacrificato sull’altare della NATO, che certamente non avrebbe gradito la partecipazione al governo italiano di una forza politica il cui leader ha avuto l’impudenza di dichiarare che non obbedisce agli ordini di Washington. Peccato che questo sacrificio non riguarda solo il PD ma, consegnando il Paese nelle mani di questa destra illiberale, travolge beni pubblici e diritti fondamentali dei cittadini italiani. La guerra è scomparsa nella campagna elettorale delle principali forze politiche italiane, salvo le dichiarazioni di sostegno incondizionato all’Ucraina e alle scelte della NATO (che non sono rivolte agli elettori italiani  ma ai poteri esterni), come è scomparso ogni impegno per la pace. Tuttavia la guerra è piombata pesantemente nella campagna elettorale, sconvolgendo gli equilibri fra le forze politiche ed orientando i risultati elettorali (sia che vinca la destra, sia che il PD miracolosamente risalga la china) verso la nascita di un governo di stretta fedeltà atlantica, che non ponga nessun ostacolo al prolungamento della guerra in Ucraina, fin quando vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole.

Tuttavia, memori delle tragedie del passato, testardamente noi continuiamo a pensare che dalla guerra non si esce con la guerra e che la violenza bellica non può essere spenta con una violenza soverchiante di segno opposto, che la sicurezza collettiva non si costruisce con la corsa agli armamenti e con la rincorsa delle minacce. Per questo chiediamo che la lotta per la pace sia posta al centro della campagna elettorale e richiamiamo l’appello promosso da Raniero La Valle e sottoscritto da centinaia di esponenti della società civile e del mondo della cultura perché la guerra sia posta fuori dal diritto, in cui si osserva che: “La guerra, maturata nella sfida e nei sospetti reciproci, cominciata sciaguratamente come guerra tra la Russia e l’Ucraina, divenuta inopinatamente guerra tra la NATO e la Russia, pronosticata come guerra tra l’Occidente e la Cina e incombente come guerra mondiale, non si fermerà da sola e senza una straordinaria iniziativa politica che la intercetti precipiterà verso un esito infausto per l’umanità tutta”. L’appello chiede un impegno preciso ai candidati: farsi promotori di un protocollo sul ripudio sovrano della guerra e la difesa dell’integrità della terra (Avvenire, 14 agosto).

Paradossalmente oggi è ritornato d’attualità il manifesto futurista di Marinetti: “Noi  vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”. Come ha osservato Mario Giro (il Domani, 18 agosto): “pare proprio di essere di fronte alla rimozione della coscienza pacificatrice nata dopo la seconda guerra mondiale in favore di un’idea in cui la guerra torna ad essere la triste compagna della storia umana ed un destino ineluttabile o irreversibile.”

Le scelte che compieremo il 25 settembre possono rendere meno ineluttabile questo destino e allontanare le ombre di morte che gravano sul nostro futuro.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

8 pensieri riguardo “Il sacrificio del soldato Letta”

  1. Analisi amaramente perfetta.Dobbiamo preparaci al tentativo di stravolgere la costituzione.almeno su questo punto occorre ripristinare il campo che dovrà essere non largo ma larghissimo recuperando anchei moderati più colti e sinceramente democratici

  2. Caro Domenico, concordo con la tua analisi, in particolare con l’opposizione alla guerra, ma con una precisazione: il soldato Letta non si è sacrificato, ha perseguito la sua linea di fedeltà alla NATO e agli USA, all’agenda Draghi di aumento delle spese militari e invio di armi e sanzioni contro gli interessi economici e politici dell’Italia.
    La crisi di governo è stata orchestrata, probabilmente dallo stesso Draghi, da quando i 5S si sono opposti all’aumento delle spese militari con l’obiettivo di isolare i 5S “alla prima che mi fai ti licenzio e te ne vai” come ha dimostrato la pantomima della crisi di governo.
    Gli appelli all’unità per la difesa della Costituzione non tenendo conto della posizione del PD, erano irreali e irrealizzabili.

    1. Caro Pietro, è vero che gli appelli al PD perchè accettasse una coalizione d’emergenza costituzionale erano destinati all’insuccesso, ma andavano fatti per far emergere le responsabilità

  3. Caro Domenico,
    concordo con quanto hai scritto, credo di poter affermare che Letta ormai è il curatore testamentario di quella “sinistra” già da tempo diventata, come dice Luciano Canfora, “partito unico articolato”.
    Ho incominciato a rendersi conto della mutazione genetica quando nella prima guerra del golfo (gennaio 1991), otto aerei Italiani bombardarono l’Iraq, mi ricordo ancora lo stato d’animo. Da quel giorno ho scoperto di essere un “conservatore” rileggendo l’intervista di Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari, alla Repubblica del 28 luglio 1981; chissà come rappresenterebbe il partito

  4. La rottura con il Movimento 5 Stelle mi pare tutt’altro che «inspiegabile». Una spiegazione su tutte: mi sembra che la voglia anche il M5S che ne fa, più del Pd, un vanto e una bandiera.
    Dubito poi che sia di sinistra chi dichiara di essere «dalla parte dei cittadini», come dicono soprattutto a destra, che vuol dire non essere dalla parte di nessuno: una volta la politica era di parte, per esempio dalla parte dei lavoratori e proletari. Non dalla parte di tutti, che è una contraddizione in termini.

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