Ogni anno, il 25 aprile, data dell’insurrezione di Milano, ci convochiamo per celebrare l’anniversario della liberazione dal nazifascismo. Ormai sono passati 80 anni, il 25 aprile potrebbe diventare uno stanco rito, in cui si coltiva il ricordo di eventi tragici ma passati, chiusi nell’archivio della storia, da dove vengono tirati fuori per essere lucidati un giorno all’anno. Non è questo il significato del 25 aprile. Il senso del 25 aprile è fare memoria della lotta di liberazione e dell’approdo che essa ha apportato nel nostro Paese: la riconquista della libertà per il popolo italiano. Non una libertà come mero patrimonio morale, ma una libertà incarnata, insediata nel sangue e nella carne di una comunità di uomini liberi che si è riconosciuta in un orizzonte comune nel quale sono istituite l’eguaglianza, la giustizia sociale, la pace, il rispetto della dignità umana. Quest’orizzonte comune è la Costituzione della Repubblica italiana.
Il 25 aprile non ci parla solo del nostro passato, ci interroga sul nostro presente e ci pone delle domande sul nostro futuro. Ci chiama a confrontarci con quel patrimonio di beni pubblici repubblicani che ci è stato consegnato dalla Resistenza. il 25 aprile non si tratta di giudicare il passato ma di esserne giudicati. In un discorso tenuto al teatro lirico di Milano, il 28 febbraio 1954, Piero Calamandrei così affrontava il tema: “In queste celebrazioni che noi facciamo nel decennale della Resistenza, di fatti e di figure di quel tempo, noi ci illudiamo di essere qui, vivi, che celebriamo i morti. E non ci accorgiamo che sono loro, i morti, che ci convocano qui, come dinanzi ad un Tribunale invisibile, a render conto di quello che in questi 10 anni possiamo aver fatto per non essere indegni di loro, noi vivi. In tutte le celebrazioni torna, ripetuta in cento variazioni oratorie, una verità elementare che nelle lettere dei condannati a morte è espressa come una naturale e semplice certezza: che i morti non hanno considerato la loro fine come una conclusione e come un punto d’arrivo, ma piuttosto come un punto di partenza, come una premessa, che doveva segnare ai superstiti il cammino verso l’avvenire (.) Quando pensiamo a loro per giudicarli, ci accorgiamo che son loro che giudicano noi”.
E’ proprio questo il punto, il Tribunale invisibile della Resistenza ci convoca ogni anno il 25 aprile per chiederci conto di quale uso abbiamo fatto del messaggio che la lotta di liberazione al nazifascismo ha consegnato al mondo intero. la Resistenza italiana ed europea al nazifascismo, non è stato un fatto solo militare, bensì si è trattato di un’opposizione armata all’orrore di un mondo hitleriano, a cui è stato contrapposto l’annuncio di un mondo nuovo. Thomas Mann, nell’introduzione alle lettere dei condannati a morte della resistenza europea, mette in evidenza che il significato di questo sacrificio non è semplicemente la resistenza, ma l’annunzio di una nuova società più umana, cioè di un tempo e di una storia nuova in cui l’umanità fosse liberata, per sempre, dalla minaccia delle guerre, delle violenze, delle discriminazioni, del disprezzo dei diritti universali dell’uomo e dei popoli. Nell’essenziale, due sono gli obiettivi espliciti della Resistenza, costruire la pace, attraverso il ripudio dei nazionalismi e della logica di potenza e salvaguardare la dignità della persona umana con il suo bagaglio di diritti fondamentali innati. “La Resistenza – ha osservato Umberto Baldocchi (Pacifismo, lotta per la pace ed etica della resistenza) – non è semplicemente la lotta per distruggere un nemico. Essa nasce non dall’odio fanatico, non dal nazionalismo scatenato, non da una volontà di vendetta, né da un bisogno di autodifesa, ma semplicemente dal senso del dovere morale, da un profondo amore per la giustizia.” Sullo sfondo della Resistenza vi è la costruzione di un nuovo ordine mondiale fondato sulla pace, sulla collaborazione e sull’eguaglianza dei popoli. Il senso profondo della Resistenza ce lo consegnano le lettere dei condannati a morte della resistenza europea, un patrimonio morale che parla al cuore di tutti gli uomini e di tutte le generazioni. Qui c’è l’anima, lo spirito della resistenza, il messaggio consegnato alle generazioni future.
“Fratello caro – scrive il partigiano bulgaro, 24enne Ivan Bakov Dobrev, fucilato nel nov.1943 – questa lettera ti ricordi tuo fratello che è caduto per la giustizia e per la libertà. Il mio sangue e la mia morte sono un pegno per la nuova vita. Io muoio perchè gli altri vivano.”
“Offro questo mio ultimo istante per la pace nel mondo” scrive il partigiano 23enne Bruno Pellizzari, fucilato nel gennaio 1945, ed alla sua voce fa eco quella dello studente cecoslovacco di 19 anni, Jaroslav Ondrusek, giustiziato a Breslavia nel 1943:
“Papà, sai, è bello morire nella speranza di un migliore domani per tutta l’umanità…
Sarò da voi, in mezzo a voi, mi siederò con voi sulla panchina del giardino, il mio spirito sarà sempre con voi. Al mattino con l’aurora vi sorriderò, con l’imbrunire vi saluterò. Che l’amore e non l’odio domini il mondo.”
“Ho dovuto morire perchè la solidarietà umana mi era filtrata nel sangue” grida Franz Mager, militante comunista e sindacalista, fucilato nel febbraio 1943.
“Senza il nostro morire – scrive l’operaio tedesco Herman Danz, giustiziato a Berlino nel febbraio 1945 – non c’è vita nuova, non c’è avvenire”
“La gioventù europea – ha scritto il prof. Giorgio Luti- quella che combatte contro il nazismo sa di lottare per qualcosa che trascende l’amor di patria. L’obiettivo è quello di una pace solida e duratura che può nascere soltanto da una concezione della vita ben diversa da quella che ha portato, attraverso i secoli alla giustificazione ed all’esaltazione della guerra…A sospingere le vittime verso l’utopia della pace e verso la visione precorritrice di un futuro diverso è il rifiuto della guerra, la precisa convinzione che dalla violenza non può nascere che la violenza. E’ chiaro allora che occorre un drastico colpo di spugna per cancellare per sempre la condanna che funesta il mondo e lo conduce all’autodistruzione.”
Non si tratta soltanto di debellare il fascismo ed il nazismo storico, si tratta di rovesciare quella storia vecchia che aveva partorito i disastri delle due guerre mondiali e dei fascismi. Di annunziare una nuova storia in cui l’umanità fosse liberata, per sempre, dalla minaccia delle guerre, delle violenze, delle discriminazioni, del disprezzo dei diritti universali dell’uomo e dei popoli.
Di quest’annunzio è stato fatto tesoro nei principi posti a base della Carta delle Nazioni Unite e sono espressi in modo plastico nel preambolo:
“Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi
– a salvare le future generazioni dal flagello della guerra che, per ben due volte, nel corso di questa generazione ha causato sofferenze indicibili all’umanità;
– a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole…”
Quest’annunzio è stato fatto proprio dai Padri costituenti che, all’art. 11, con votazione quasi unanime, hanno decretato la cancellazione dello jus ad bellum dalle prerogative della sovranità espellendo la guerra, non dalla storia (non avrebbero potuto), ma almeno dall’ordinamento giuridico.
Purtroppo soltanto poche settimane dopo la firma della Carta delle Nazioni Unite, l’8 agosto 1945, il tragico fungo atomico di Hiroshima annunziava che la belva aveva ripreso a ruggire e la guerra restava iscritta nelle viscere del potere e disegnava un nuovo ordine mondiale fondato sui rapporti di forza fra contrapposti blocchi politico-militari, anziché sul diritto.
Dopo la caduta del muro, il 9 novembre del 1989, ci avevano promesso l’avvento di una nuova era, libera dal terrore, fondata sulla giustizia. Questa promessa è svanita dans l’espace d’un matin.
Da oltre tre anni sulla nostra vita gravano gli echi sordi della guerra che sconvolge l’Europa orientale.
Il 24 febbraio 2022 si è fatto buio all’improvviso. Una guerra feroce e catastrofica è scoppiata sul confine orientale dell’Europa, travolgendo i destini di milioni di persone e riverberando i suoi effetti nefasti, a cominciare dall’Europa, in tutto il mondo.
Dal 7 ottobre 2023 l’annoso conflitto che, a fasi alterne, infiamma il Medio Oriente è esploso è si è trasformato in un orrendo genocidio, che non accenna a finire. Ancora tuona il cannone – per dirla con Guccini – Ancora non è contenta/ Di sangue la belva umana.
Non v’è dubbio che il ritorno della guerra, in Europa, come nel Medio Oriente e nel resto del mondo, rappresenta una contraddizione assoluta con il messaggio che la lotta di liberazione al nazifascismo ha consegnato al mondo intero. Quello che ci stupisce è che il ritorno della guerra in questo tempo oscuro non viene più percepito come un disastro da esorcizzare, o come un orrore da ripudiare, ma come uno strumento al servizio della politica, uno strumento che deve essere oliato con una robusta corsa al riarmo. Quasi ogni giorno i giornali e le televisioni ci propongono editoriali o dissertazioni di intellettuali che esaltano le virtù belliche e l’uso della forza al servizio della giustizia, tanto che imperversa sui Media uno storico incaricato dal Ministro dell’Istruzione e del Merito di presiedere la commissione responsabile dell’elaborazione delle nuove linee guida per l’insegnamento nella scuola primaria e secondaria di primo grado. Costui si è distinto per aver diffamato l’art. 11 della Costituzione, affermando testualmente: “io vorrei ricordare che ,l’Italia è l’unico paese al mondo ad avere un articolo della Costituzione, l’undicesimo, che ripudia espressamente la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali. Non so se è più bizzarra o patetica questa petizione di principio che cerca di cancellare il dato storico di ovvia evidenza che vede da sempre la guerra come il fuoco concettuale e pratico della politica internazionale. E come se noi volessimo per legge cancellare la realtà. E come dire: “l’Italia, ripudia l’esistenza dell’ossigeno”.
Certamente quello di cui parla questo signore è un ossigeno sui generis perché sulla frontiera orientale dell’Europa ha provocato la morte di oltre un milione di persone che l’hanno respirato, più che all’ossigeno il paragone andrebbe fatto con il gas Ziclon B, che si respirava nei campi di sterminio nazisti. Oggi siamo arrivati al punto che intellettuali affascinati, come D’Annunzio dal demone della guerra, ci propinano l’elogio dello “spirito guerriero” e si dolgono della “svanita combattività” dei popoli europei resi imbelli da otto decenni di pace. Antonio Scurati, in un lungo articolo su la Repubblica del 4 marzo si esprime con le stesse formule che avrebbe potuto usare M il protagonista del suo romanzo. Tesse l’elogio della guerra come fondamento della civiltà e si duole della carenza di guerrieri, richiama il bisogno di armi adeguate e:“anche il bisogno di giovani uomini (e di donne, se volete) capaci, pronti e disposti ad usarle. Vale a dire di uomini risoluti a uccidere e a morire. Scurati conclude questa dissertazione sulle virtù della guerra con un estremo oltraggio alla Resistenza. L’antifascismo, paradigma di pace, piegato e rivoltato a piattaforma di guerra: “L’imminente ottantesimo Anniversario della Liberazione dal nazifascismo dovrebbe essere un passaggio cruciale affinché l’Europa ritrovi lo spirito combattivo e, con esso, il senso della lotta. Fummo allora, noi europei d’occidente, per l’ultima volta guerrieri. La Resistenza antifascista ci ricorda perché ripudiammo la guerra ma ci insegna anche le ragioni per prepararci, se necessario, a combatterla”.
Oggi la prospettiva che si ponga fine alla guerra e si giunga finalmente al cessate il fuoco, a seguito dell’apertura di negoziati fra gli Stati Uniti e la Russia ha suscitato smarrimento nei vertici dell’UE e nelle Cancellerie dei principali Paesi europei, al punto che il Parlamento europeo nella sua Risoluzione del 12 marzo 2025 ha espresso “sgomento per quanto riguarda la politica dell’amministrazione statunitense di riappacificarsi con la Russia.”
Di fronte alla prospettiva del cessate il fuoco, la risposta dell’UE e dei principali paesi europei non è stata quella di attivarsi per agevolare il percorso di costruzione della pace, ma, al contrario, quella di prefigurare la continuazione della guerra con altri mezzi. Il Piano Re Arm Europe (in seguito pudicamente rinominato Readiness 2030), proposto dalla Presidente della Commissione, Ursula Von der Layen, propone la mobilitazione di 800 miliardi di euro per consentire un riarmo straordinario dei Paesi europei;
Lo scopo di questo processo di riarmo è quello di prepararci alla guerra, come ha dichiarato Il 18 marzo la stessa Ursula Von der Layen durante un discorso alla Royal Danish Military Academy a Copenaghen. Rientra in questa direzione la “Strategia Ue per la preparazione” lanciata dalla Commissione e dell’Alta rappresentante per la politica estera Kaja Kallas. Nella strategia si incoraggia la popolazione a fare “scorte essenziali per un minimo di 72 ore in caso di emergenza.”
A fronte dell’indignazione strumentale per le violenze perpetrate dall’esercito russo nel territorio dell’Ucraina, le èlite politiche europee non hanno profferito verbo di fronte al massacro organizzato contro la sfortunata popolazione di Gaza e alle violenze commesse dai coloni in Cisgiordania. Il diritto internazionale impugnato come un’arma contro la Russia è svanito di fronte ai crimini di Israele, a cui tutto è permesso. Il governo italiano non ha avuto neanche il coraggio di effettuare il simbolico riconoscimento dello Stato di Palestina e non ha avuto nulla da obiettare di fronte alla plateale disobbedienza di Israele alle misure impartite dalla Corte internazionale di Giustizia al fine di scongiurare il genocidio.
Sul fronte interno le cose non vanno meglio. I beni pubblici repubblicani che la Costituzione ha istituito come lascito delle Resistenza sono soggetti all’attacco furioso di una maggioranza politica che ha vissuto l’avvento della Costituzione repubblicana come frutto di una sua sconfitta storica e adesso cerca la sua rivincita. Le riforme costituzionali messe in cantiere e le leggi speciali sulla sicurezza ed emigrazione sono tutte convergenti verso uno sbocco autoritario. Riforma dell’assetto costituzionale della magistratura, superamento della centralità del Parlamento attraverso il Premierato, repressione del dissenso attraverso una sciagurata legislazione di ordine pubblico, attuata anche svuotando il lavoro del Parlamento con il ricorso alla decretazione d’urgenza, discriminazione verso gli stranieri, ostracismo verso chi opera il soccorso in altro mare, sono tutti tasselli che scompongono il disegno costituzionale e ricompongono un nuovo ordinamento nel quale la libertà ed i diritti individuali e collettivi non sono più assicurati e non sono garantiti a tutti.
La democrazia nel nostro paese sta attraversando una tempesta, sotto certi aspetti simile, ma molto più grave a quella che abbiamo vissuto nella primavera estate del 1960 con l’avvento del governo Tambroni. Allora fu il movimento dei lavoratori che insorse a difesa della democrazia. Ci furono scioperi ed agitazioni in tutt’Italia. La situazione più drammatica si verificò a Reggio Emilia dove il 7 luglio una manifestazione sindacale di protesta finì in tragedia quando polizia e carabinieri spararono sulla folla provocando sette morti. L’indignazione che scosse l’Italia per quei fatti mise fine al progetto anticostituzionale del governo Tambroni ed aprì la strada a quella stagione dei diritti che culminò con le grandi riforme degli anni 70, a partire dallo Statuto dei lavoratori, la riforma del diritto di famiglia, la riforma sanitaria, il divorzio, l’aborto, la riforma della Polizia, che hanno contribuito a scrivere nella carne viva dell’ordinamento giuridico i diritti che la Costituzione aveva promesso al popolo italiano. Adesso i venti di guerra e il disprezzo del diritto, sostituito dalle ragioni della forza, la pulsione autoritaria spingono per la revoca dei diritti e dei beni pubblici che la Resistenza ci ha consegnato attraverso la Costituzione.
Così a 80 anni di distanza dalla Liberazione è ritornato di stringente attualità il monito lanciato da Thomas Mann nella prefazione delle lettere dei condannati a morte della resistenza europea:
“Viviamo in un mondo di perfida regressione, in cui un odio superstizioso e avido di persecuzione si accoppia al terror panico; in un mondo alla cui insufficienza intellettuale e morale il destino ha affidato armi distruttive di raccapricciante violenza, accumulate con la folle minaccia di trasformare la terra in un deserto avvolto da nebbie venefiche. L’abbassamento del livello intellettuale, la paralisi della cultura, la supina accettazione dei misfatti di una giustizia politicizzata (vale a dire asservita al potere), il gerarchismo, la cieca avidità di guadagno, la decadenza della lealtà e della fede, prodotti o, in ogni caso promossi da due guerre mondiali, sono una cattiva garanzia contro lo scoppio della terza, che significherebbe la fine della civiltà. Una costellazione fatale sovverte la democrazia e la spinge nelle braccia del fascismo, che essa ha appena abbattuto solo per aiutarlo, non appena a terra, a risollevarsi in piedi per calpestare, ovunque li trovasse, i germi del meglio, e macchiarsi con ignobili alleanze.”
Si chiede quindi Thomas Mann: “Sarebbe vana, dunque, superata e respinta dalla vita, la fede, la speranze, la volontà di sacrificio di una gioventù europea che, se ha assunto il bel nome di Résistence, della resistenza internazionale e concorde contro lo scempio dei propri paesi, contro l’onta di un’Europa hitleriana e l’orrore di un mondo hitleriano, non voleva semplicemente “resistere”, ma sentiva di essere l’avanguardia di una nuova società umana? Tutto ciò sarebbe stato invano? Inutile, sciupato il loro sogno e la loro morte?”
Noi siamo convinti di no. la Resistenza ci ha insegnato a sperare contro ogni speranza, ci ha tramandato la forza morale per resistere alle tempeste della Storia e continuare ad avere fede nell’avvenire. In questo tempo dannato in cui lo spirito funesto della guerra in atto, semina l’odio fra i popoli, costruisce l’ostilità fra i sistemi politici, alimenta una corsa sconsiderata al riarmo, abbiamo più bisogno che mai di riprendere il percorso lungo il sentiero che ha disegnato la Resistenza. Dobbiamo impegnarci perchè l’utopia della pace riemerga di nuovo nella Storia e restauri i valori del dialogo, dell’amicizia fra i popoli, del ripudio della guerra, del rispetto della dignità umana, del rifiuto di ogni tirannia. Come nel 1960, ancora una volta lo spirito della Resistenza può rendere un grande servizio alla democrazia nel nostro paese e alla causa della pace nel mondo
Insomma in questi quei tempi oscuri sono tornate d’attualità le parole della celebre canzone di Fausto Amodei, per i morti di Reggio Emilia:
Di nuovo come un tempo sopra l’Italia intera, fischia il vento, infuria la bufera..
Ed il nemico attuale è sempre ancora uguale a quel che combattemmo sui nostri monti e in Spagna.
Uguale è la canzone che abbiamo da cantare, scarpe rotte eppur bisogna andare..
Volterra, 25 aprile 2025
Domenico Gallo
bellissima ricostruzione storica
Grazie Mimmo, un bellissimo discorso, soprattutto privo di retorica, pieno di riflessioni.
Emozionante lettura, che non si può non condividere. Mi domando solo come rendere consapevoli le giovani generazioni di tutto questo passato storico, di cui a scuola non si studia niente.
Caro Mimmo, le toccanti lettere dei condannati a morte della resistenza europea, rappresentino un monito per tutti noi e per le generazioni future.