L’anno vecchio è finito, ormai / ma qualcosa ancora qui non va.. Ogni volta a capodanno ritornano d’attualità i versi dell’Anno che verrà, ma è sempre più difficile nutrire la speranza che ci sarà la trasformazione annunciata da Lucio Dalla. Non solo perché non sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno e i preti non potranno sposarsi, neanche a una certa età, ma soprattutto perché il ritorno della pandemia, malgrado i vaccini, con numeri mai visti, ci annuncia che l’emergenza sanitaria non è mai passata e con essa, a cascata, tutti gli altri problemi economici e sociali.
In questo contesto massima è l’incertezza politica per la difficoltà dei nodi da sciogliere. Il primo problema che si affaccia sulla scena politica con l’anno nuovo è l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. La scelta del Presidente che verrà agita il mondo politico e sta mandando in fibrillazione i media.
Nel passato questa scelta non è stata mai discussa in un franco dibattito pubblico, anzi è stata oggetto di conciliaboli riservati fino all’assurdo che l’assemblea dei grandi elettori del Partito Democratico il 19 aprile 2013 deliberò all’unanimità di votare per Romano Prodi e poi, nel segreto dell’urna, 101 parlamentari votarono contro affossandone la candidatura.
Prima di appassionarsi al totonomi, bisogna capire qual è il profilo del Presidente della Repubblica prefigurato dalla Costituzione. Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale (art. 87 Cost.).
Si badi bene, il Presidente della Repubblica non rappresenta il popolo. Il popolo non può essere rappresentato da un solo uomo. Nel popolo sono presenti diversi orientamenti politico-culturali, interessi differenziati e contrastanti fra i diversi gruppi sociali, per questo la rappresentanza la esercitano solo le Assemblee elettive (Camera e Senato) nella quali confluisce il pluralismo del corpo elettorale.
Per questo la proposta di elezione diretta del capo dello Stato nel nostro ordinamento sarebbe un non-senso, in quanto il Presidente eletto rappresenterebbe alcune delle esigenze politiche presenti nel paese ma non l’unità nazionale.
Un Presidente eletto dal Parlamento a maggioranza è frutto, pur sempre, di intese politiche che non possono soddisfare tutti, ma la Costituzione ha previsto un accorgimento per evitare che il Presidente della Repubblica possa restare schiacciato sulla maggioranza che l’ha eletto: la durata del mandato presidenziale (sette anni) che non coincide con la durata della Camere che lo hanno eletto (cinque anni).
Questa situazione dà aggio al Presidente della Repubblica di esercitare la sua funzione di garanzia con maggiore libertà e incisività. La missione che la Costituzione gli affida è quella di supremo garante della Costituzione nei confronti dell’esercizio del potere legislativo e di governo. In particolare il capo dello Stato ha dei poteri di impulso e di interdizione volti ad assicurare che l’operato del Parlamento e del Governo, pur nell’insindacabilità delle scelte politiche, non esca fuori dai binari tracciati dalla Costituzione a garanzia dell’equilibrio dei poteri e della tutela dei diritti inviolabili.
Per questo il Presidente deve essere un “patriota”, ma non nel senso con cui la destra usa questa parola. La Patria del popolo italiano costituito in comunità politica è la Costituzione. Il Presidente della Repubblica sarà un patriota nella misura in cui veglierà sul rispetto della Costituzione a fronte dei possibili abusi della coppia Governo-maggioranza parlamentare.
Il ruolo del Presidente della Repubblica, che non è mai stato solo notarile, cresce nei tempi di crisi. Basti pensare al potere di emanare i decreti aventi valore di legge. Il Presidente può e deve bloccare quei decreti legge che appaiono macroscopicamente in contrasto con la Costituzione, come fece il Presidente Napolitano che rifiutò di emanare il c.d. decreto legge “Englaro” deliberato il 6 febbraio 2009 dal Consiglio dei Ministri del Governo Berlusconi 2, che strumentalizzava la vicenda della povera Eluana Englaro, stracciando una sentenza della Cassazione e condannando i morenti a subire la tortura di trattamenti sanitari irrinunciabili. Nell’occasione il Presidente della Repubblica fu sottoposto ad un ricatto morale di una violenza inaudita: o firmi o sei un assassino!
In tempi più recenti il Presidente Mattarella non ha rifiutato di emanare i discussi decreti sicurezza Salvini, ma ha fatto trapelare il suo disappunto, riguardo al primo decreto, con una lettera al Presidente del Consiglio Conte, in cui osservava che “restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato” e, riguardo al secondo decreto, con una lettera inviata ai Presidente della due Camere con la quale ribadiva che “resta l’obbligo di salvare le persone in mare”, cioè proprio quello che il decreto voleva impedire.
I Presidenti che si sono succeduti nel tempo hanno interpretato in vario modo e con diversa intensità il ruolo che la Costituzione ha assegnato alla suprema magistratura dello Stato.
Il prossimo Presidente noi vorremmo che fosse davvero un “patriota” della Costituzione, perché verranno tempi duri e sul Presidente della Repubblica ricadrà una grande responsabilità.