L’Ucraina ha perso la guerra, come ha osservato da ultimo Alessandro Orsini (il Fatto quotidiano del 19 dicembre) perché ha combattuto e sta combattendo per obiettivi impossibili da raggiungere, vale a dire recuperare manu militari i confini del 1991 (inclusa la Crimea nel frattempo diventata una Repubblica autonoma inserita nella Federazione russa). Oggi è un dato di fatto che la tanto auspicata controffensiva è fallita, annegata in un mare di sangue. Nel 1971 il Washington Post pubblicò un insieme di documenti segreti del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che dimostravano che l’Amministrazione aveva ingannato gli americani fornendo all’opinione pubblica informazioni “ottimistiche” e false sulle cause e sull’andamento della guerra del Vietnam. I “Pentagon papers” suscitarono uno scandalo rivelando il cinismo delle autorità politiche e militari che avevano inutilmente sacrificato la vita di decine di migliaia di giovani americani pur essendo consapevoli che la guerra, iniziata sulla base di una menzogna (il falso incidente nel golfo del Tonchino), non poteva essere vinta.
Oggi una approfondita inchiesta del Washington Post, tradotta in due lunghi articoli pubblicati il 4 dicembre, fa emergere i retroscena della programmazione e preparazione della controffensiva di primavera, rivelando quanto è stato dolosamente taciuto all’opinione pubblica occidentale e agli stessi ucraini. Il fatto che i Media italiani abbiano sorvolato sulla rivelazioni del Washington Post, è solo un ulteriore conferma del divorzio dalla verità della narrazione pubblica mainstream.
L’inchiesta dimostra che la controffensiva è stata pianificata in sede NATO dai vertici militari americani con la collaborazione di ufficiali britannici. Le truppe ucraine da impiegare nella controffensiva sono state addestrate in una base dell’esercito degli Stati Uniti a Wiesbaden in Germania. Ufficiali militari ucraini, statunitensi e britannici hanno organizzato otto simulazioni di guerra a tavolino per costruire un piano di campagna. Sono state prese in considerazioni le difese della Russia e studiato un piano d’attacco che avrebbe dovuto portare le truppe ucraine a raggiungere il Mar D’Azov nell’arco di 60/90 giorni. I pianificatori hanno calcolato che la controffensiva avrebbe avuto uno sbarramento di fuoco russo e un tappeto di mine tale che le perdite ucraine sarebbero state fra il 30 e il 40%. In questo contesto le probabilità di successo, secondo i calcoli del software NATO, non superavano il 50%.
Ora sappiamo che la NATO, non solo ha armato l’esercito ucraino, ma ne ha addestrato le truppe e ha spinto irresponsabilmente l’Ucraina a scatenare una controffensiva che non aveva alcuna probabilità ragionevole di successo, pur sapendo che avrebbe richiesto un pesante bilancio di perdite; 40% vuol dire centomila morti. Peccato che, per ottenere il consenso dell’opinione pubblica, è stato taciuto che si pianificava il sacrificio della “meglio gioventù” ucraina per raggiungere un obiettivo impossibile. Addirittura, alcuni leaders europei come la Von der Layen e la Metsola hanno avuto l’impudenza di rivendicare la fornitura di armi all’Ucraina come una risorsa per “salvare vite”. Appena lanciata, la controffensiva si è subito impantanata e sono sorte le divergenze fra gli ufficiali ucraini e i loro mandanti della NATO, che hanno rimproverato alla parte ucraina di essere “casualty adverse”, cioè di voler morire poco, meno di quanto sarebbe stato necessario per vincere la guerra. Il 7 settembre Stoltenberg, dinanzi alla Commissione esteri del Parlamento europeo, ha continuato a mentire sulle sorti della controffensiva, dichiarando che gli ucraini vittoriosi avanzavano di cento metri al giorno. Ancora il 29 novembre Stoltenberg ha dichiarato che l’Ucraina ha prevalso ed ha riportato una grande vittoria, salvo smentirsi quattro giorni dopo, il 3 dicembre, dichiarando: “dobbiamo prepararci alle cattive notizie”. In un articolo del 16 dicembre il New York Times, ha analizzato una presunta vittoria della controffensiva ucraina, l’attraversamento del fiume Dnipro nella regione meridionale di Kherson. Il giornale ha raccolto alcune testimonianze scioccanti dei marines ucraini sopravvissuti che hanno descritto l’offensiva come una missione suicida, con ondate di soldati falciate sulle sponde del fiume o nell’acqua, prima ancora di raggiungere l’altra sponda. Prima o poi le madri, i padri, i fratelli, le spose chiederanno conto a Zelensky e ai leaders occidentali della vita dei loro cari, sacrificata sull’altare della protervia degli USA e della NATO. Siamo sicuri che prima o poi Stoltenberg sarà perseguitato da un incubo: vedrà comparire in sogno un esercito di morti che si rialzeranno dal fango delle trincee, con le bende sulle ferite e le divise ancora insanguinate e gli chiederanno con la voce flebile dei fantasmi: restituiteci la vita di cui ci avete derubato. Allora Stoltenberg impallidirà come Macbeth alla vista del fantasma di Banquo.
(articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 22-12-2023 con il titolo “Nato e Ue han mandato gli ucraini al massacro”)
Resta un fatto reale: la Russia di Putin invade il territorio di uno Stato sovrano.
Verissimo, ma la realtà è molto più complessa, a partire dalla definizione di “Stato Sovrano” che faccio fatica ad utilizzare per l’Ucraina.
Lucido, chiaro e incisivo come sempre, con quelle frasi finali che colpiscono come staffilate.