(Un mio articolo pubblicato sul sito di Pace in Movimento)
Per i giovani che negli anni 70 del secolo scorso si interrogavano sul loro futuro, l’enigma fondamentale rimaneva la divisione del mondo in due blocchi politico-militari contrapposti sullo sfondo di un sentimento cupo di ansia per la minaccia di mutua distruzione nucleare. Della divisione del mondo in due blocchi percepivamo la durezza che si esprimeva all’est nel ferreo controllo dell’Unione sovietica sui paesi al di là della cortina di ferro e all’ovest soprattutto con le tribolate vicende di dittature e colpi di Stato in America Latina.
Avevo 16 anni quando il 20 agosto del 1968 i carri armati sovietici invasero la Cecoslovacchia, ponendo fine ad un esperimento democratico che tante speranze aveva suscitato nell’opinione pubblica europea. Il golpe in Cile, l’11 settembre del 1973, suscitò un’emozione profonda. Fu spontaneo il riflesso di solidarietà verso i profughi cileni con i quali ci sentivamo affratellati anche perchè in Italia non si era spento il tintinnio di sciabole e la vicenda cilena evocava il perdurante rischio di golpe che incombeva sul nostro Paese. Il successivo golpe in Argentina nel 1976 contribuì a rendere pesante l’aria che respiravamo anche se l’abisso di orrore dei 30.000 desaparesidos emergerà solo in seguito.
Nell’epoca della prima guerra fredda, la lotta per la pace si muoveva soprattutto sul fronte del rifiuto delle armi nucleari. L’atteggiamento negativo dell’opinione pubblica mondiale costrinse le potenze nucleari a mettere al bando gli esperimenti con armi nucleari nell’atmosfera (Trattato firmato a Mosca il 5 agosto1963) e a stipulare il Trattato di non proliferazione (firmato a New York il 1° luglio 1968). Durante la guerra fredda c’era chi soffiava sul fuoco ma – a differenza di quanto accade ora – le forze politiche tutte ed i media “tifavano” per la distensione e si inquietavano quando si verificava un irrigidimento del confronto fra i due blocchi militari. Superata la crisi dei missili di Cuba, fu avviato un processo di distensione culminato nell’Atto finale della Conferenza di Helsinki (1 agosto 1975). Purtroppo agli inizi degli anni 80 il clima cambiò di nuovo. La guerra fredda ebbe un colpo di coda, rappresentato dalla decisione degli Stati Uniti di schierare in Europa dei missili a raggio intermedio con capacità nucleare, Pershing II e Cruise, in grado di colpire Mosca, i c.d. “euromissili”, destinati ad essere dislocati in Inghilterra, Italia e Germania. In Italia, il 7 agosto del 1981 venne annunziato lo schieramento dei missili Cruise nell’aeroporto di Comiso, provincia di Ragusa. Questa scelta incontrò una diffusa ostilità dell’opinione pubblica. A mobilitarsi furono soprattutto i giovani e gli intellettuali. In Sicilia il Segretario del partito comunista, Pio La Torre, lanciò una petizione popolare che in pochi mesi raccolse un milione di firme, e non si può escludere che quest’iniziativa fu messa nel conto che gli assassini gli fecero pagare il 30 aprile del 1982.
A Comiso cominciò un pellegrinaggio di giovani portatori di una cultura della nonviolenza, che interagivano con sacerdoti, religiosi buddisti, insegnanti, avvocati e…magistrati. Il mio primo impegno sul fronte della lotta per la pace avvenne proprio a Comiso. Ricordo un convegno che si svolse a Comiso il 17 dicembre 1993 “Gli euromissili e la Costituzione”, organizzato dall’associazione culturale Bertold Brecht, dal Cudip e da Magistratura democratica. Forti movimenti di protesta si svilupparono anche in Germania, Belgio e Olanda. In Germania fu interpellata la Corte Costituzionale federale che, con una sentenza del 16 dicembre 1983, respinse le censure di costituzionalità con una motivazione essenzialmente politica. Malgrado l’esistenza di un forte movimento transnazionale di protesta, il programma di schieramento degli euromissili fu portato a termine. Nel 1984 la battaglia contro gli euromissili sembrava definitivamente perduta e l’orizzonte era tornato cupo, ma nel 1986, dal cuore dell’“impero del male”, venne fuori un pensiero nuovo, inusitato per le sgangherate Cancellerie della guerra fredda. L’avvento al potere di Gorbaciov in Unione Sovietica scompaginò in brevissimo tempo l’ordine mondiale fondato sulla contrapposizione violenta dei blocchi. Dal cuore del potere sovietico vennero fuori delle parole che noi avevamo sentito soltanto dalla bocca dei filosofi e dei profeti. “E’ necessario instaurare un nuovo ordine mondiale per garantire giustizia economica e uguale sicurezza politica per tutti gli Stati. La cessazione della corsa agli armamenti è il presupposto necessario per l’instaurazione di un simile ordine. (..) La sicurezza internazionale globale deve prendere il posto dell’«equilibrio del terrore»: il mondo è uno e la sua sicurezza è indivisibile.”
Sono questi alcuni dei passaggi della Dichiarazione di Nuova Delhi, firmata da Mikhail Gorbaciov e Rajiv Gandhi a nome dell’URSS e dell’India il 27 novembre 1986. La dichiarazione di Nuova Delhi poneva le premesse per cambiare il corso della Storia, esprimendo un pensiero nuovo orientato a delineare una prospettiva concreta di salvezza per l’umanità. A differenza del Progetto per una pace perpetua, scritto da Immanuel Kant nel 1795, la Dichiarazione di Nuova Delhi, non era destinata a rimanere confinata nel campo della speculazione filosofica perché proveniva da un leader politico a capo di una superpotenza dotata di armi nucleari che incarnava uno dei principali attori della politica internazionale. Essa rappresentava una sorta di manifesto del progetto politico alla cui attuazione Gorbaciov si sarebbe dedicato negli anni seguenti. Gli effetti si videro subito, l’8 dicembre 1987 venne firmato a Washington il Trattato INF, (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) in virtù del quale venne disposta l’eliminazione di tutti i missili basati a terra con una gittata fra i 500 ed i 5.500 kilometri dall’una e dall’altra parte della cortina di ferro.
La lotta popolare contro gli euromissili, seppur sconfitta nell’immediato, alla fine riuscì vincente. In quel periodo guardavamo con trepidazione il nostro futuro e ci sembrava di partecipare al cambiamento della Storia. Il 7 novembre 1989 a Berlino fu una notte di festa straordinaria, quando i vopos si ritrassero ed una folla sterminata si precipitò a scavalcare quel muro che per 28 anni aveva diviso in due il cielo dei berlinesi; diviso le famiglie; separato i destini di chi si trovava al di là o al di qua del muro. Una barriera luttuosa non solo in senso metaforico, una ferita sanguinosa inferta nel corpo vivo del popolo tedesco che, improvvisamente, spariva nel corso di una sola notte. Il crollo del muro di Berlino fu vissuto in tutto il mondo come l’epifenomeno che annunciava la fine di un’era, quella della guerra fredda, e la caduta di quella impenetrabile barriera politica e militare, la cortina di ferro, che aveva diviso l’Europa lungo le linee armistiziali della seconda guerra mondiale. In effetti quell’evento simbolico poneva fine definitivamente alla Seconda guerra mondiale che a Berlino non si era ancora conclusa.
Fu una festa a Berlino, ma anche in tutt’Europa, tutti noi tirammo un sospiro di sollievo; l’epoca dei muri, del confronto brutale fondato sulla forza, della corsa agli armamenti, dell’equilibrio del terrore franava sotto i nostri occhi sotto l’effetto del terremoto della storia. Al suo posto nasceva la speranza di una nuova epoca in cui si potesse avverare la profezia della Carta della Nazioni Unite di un’umanità liberata per sempre dal flagello della guerra, dove le relazioni internazionali ed interne agli Stati fossero regolate dal diritto e dalla giustizia, dove l’architettura della violenza venisse definitivamente smantellata e le spade rimesse nel fodero.
Noi che eravamo giovani nell’89 vedevamo dinanzi a noi un orizzonte sereno e sognavamo un futuro colmo di speranza. In quell’epoca il treno della Storia era stato messo su un binario che correva verso un avvenire luminoso. Purtroppo quell’avvenire che ci avevano promesso con la caduta del muro di Berlino è
tramontato nell’arco di una generazione. Come recita la dolente canzone di Luigi Tenco: i sogni sono solo sogni e l’avvenire è ormai quasi passato. In realtà quell’avvenire è passato del tutto, ma ciò non è stato frutto del naturale svolgimento delle vicende umane, bensì di scelte precise degli architetti dell’ordine mondiale che ci hanno derubato dell’avvenire e ci hanno fatto precipitare in questa miserabile condizione di guerra, dalla quale non riusciamo a uscire.
Questo clima di pacificazione durerà ben poco. Verrà interrotto dalla guerra del Golfo nel 1991, prima prova muscolare dell’impero sopravvissuto alla guerra fredda. Ma le vere scelte che cambiano il clima geopolitico vengono effettuate nel corso del 1997 dall’amministrazione Clinton che, stracciando gli impegni assunti con Gorbaciov, decide di estendere la NATO ad est, cominciando ad inglobare Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Si tratta della scelta politicamente più impegnativa che sia stata fatta dall’Amministrazione USA, dopo quella del contenimento dell’URSS, che ha dato origine alla prima guerra fredda. Contro questa scelta insorsero proprio coloro che la guerra fredda l’avevano teorizzata e praticata. In un articolo sul New York Times del 7 febbraio 1997 il diplomatico americano George Kennan, uno dei teorici della guerra fredda, lanciò un grido d’allarme, osservando: “ la decisione di espandere la NATO sarebbe il più grave errore dell’epoca del dopo guerra fredda. Una simile decisione avrebbe l’effetto di infiammare le tendenze nazionalistiche antioccidentali e militariste nell’opinione pubblica russa, pregiudicherebbe lo sviluppo della democrazia in Russia, restaurerebbe l’atmosfera della guerra fredda nelle relazioni est ovest, spingerebbe la politica estera russa in direzioni a noi decisamente non favorevoli.”
Clinton non ascoltò le proteste dei protagonisti della guerra fredda, fra cui lo stesso Henry Kissinger e andò avanti nel suo progetto. Nel summit che si svolse a Madrid l’8 e il 9 luglio 1997, la NATO assunse la decisione di estendersi ad est, cominciando ad includere Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, che furono formalmente ammesse nel 1999.
In questo modo furono poste le premesse per riesumare il fantasma della guerra fredda, fondata questa volta non più sulla competizione politico-ideologica fra i due blocchi, ma su un confronto meramente nazionalistico, come tale meno razionale e più imprevedibile.
All’epoca non si poteva prevedere la guerra che sarebbe scoppiata 25 anni dopo, però non era difficile comprendere che la nuova guerra fredda che si stava impiantando sarebbe stata molto più pericolosa della prima perché avrebbe attizzato derive nazionalistiche molto più irrazionali del confronto ideologico che animava, ma frenava anche, la prima guerra fredda. Tuttavia, una scelta, così densa di incognite, in Italia e nel resto d’Europa è passata inosservata, la politica si è voltata dall’altra parte e nessuno si è accorto che si stava impiantando nel cuore dell’Europa una nuova cortina di ferro.
Il passo successivo è stato quello di cambiare la missione della NATO, che ha “superato” la sua natura di patto difensivo e si è trasformata in un formidabile strumento militare del tutto svincolato dal rispetto della Carta dell’ONU. Questa nuova missione è stata sperimentata con l’aggressione alla Jugoslavia: settantotto giorni di bombardamenti ininterrotti, volti a smembrare l’integrità territoriale della Jugoslavia con la separazione del Kosovo. Nel summit per il cinquantenario della NATO a Washington il 23 e 24 aprile 1999, la NATO legittimava questo suo nuovo volto, dichiarandosi competente a compiere operazioni militari al di fuori dell’art. 5 del Patto Atlantico, cioè si riappropriava del diritto di guerra. Nel disinteresse generale è proseguita l’espansione della NATO ad est, che ha inglobato anche quelle Repubbliche che una volta facevano parte dell’Unione Sovietica (Estonia, Lettonia e Lituania). Con il vertice di Bucarest del 2 aprile 2008, la NATO ha lanciato un ulteriore guanto di sfida alla Russia, dichiarando la disponibilità ad inglobare anche Ucraina e Georgia. Dopo un lavoro di ri-costruzione del nemico durato oltre venti anni, alla fine il nemico si è materializzato e la parola è passata alle armi. In realtà, con la scelta che gli USA hanno imposto alla NATO nel luglio del 1997, il treno della Storia è stato deviato su un altro binario, verso un percorso che ci ha sempre più velocemente allontanato dall’orizzonte del 1989 ed alla fine è arrivato al capolinea il 24 febbraio del 2022, data che simbolicamente rappresenta l’evento opposto e contrario a quello del 9 novembre 1989. Nel frattempo sono passati i migliori anni della nostra vita e oggi rischiamo di lasciare ai nostri figli e nipoti un orizzonte molto più oscuro di quello che noi abbiamo dovuto affrontare nella nostra esperienza di vita.
Una bella sintesi dei nostri migliori anni, in cui si percepisce una vena di sottilissimo scoramento.
Se può servire come consolazione, anche io ero giovane nell’ 89 di più di due secoli fa, tante speranze, la fine dell’assolutismo monarchico, la Repubblica, la proclamazione dei Diritti dell’uomo e dei cittadini, ma poi un golpe eliminò un grande rivoluzionario, fu nominato capo un militare di origini còrse con un nome strano, mai udito prima, tornarono le guerre che infiammarono tutta l’Europa, e furono gettate le premesse per due guerre mondiali nel secolo successivo, e addio pace…
Mi fermo qui scusandomi per la tristezza che possa aver procurato la mia distopia storico-temporale, un disturbo di cui soffro da tempo.
Bravo Domenico, hai scritto una bella e puntuale pagina di storia, che dovrebbe trovarsi in ogni manuale scolastico. Ho smesso di sperarci ma forse sbaglio ad essere pessimista. Dunque, speriamo…e intanto ne godiamo noi, tue lettrici e lettori
Bella sintesi storica. Mi chiedo se la Russia ha avuto parte in tutto questo o l’attore e’ solo l’America? A parte muovere i carrarmatini nel 2022, non è che il modo in cui è finito Gorby ha spaventato Polonia, Chechia e Bulgaria prima e i paesi baltici poi, come succede ora con Finlandia e Svezia? Non è che le mire espansionistiche della Russia, già chiare nel post Gorby, hanno accelerato l’adesione alla Nato? Non è che le infiltrazioni russe nel condizionamento dell’opinione pubblica e nelle elezioni, le manipolazioni delle informazioni nei paesi occidentali, ecc. sono cominciate ben più di qualche anno fa? Io penso che se Gorby fosse rimasto in sella i paesi satellite non avrebbero avuto fretta di aderire alla Nato e la Nato non avrebbe avuto interesse a papparseli. Magari sbaglio
E infine, non è che se la Russia avesse pappato subito l’Ucraina sarebbe passata presto alla Transnistria, alla Moldavia … e poi?