Un altro pesante mattone nell’opera di costruzione del regime è stato messo in opera la settimana scorsa quando la Commissione Giustizia del Senato ha approvato l’emendamento proposto dal Senatore Bobbio al disegno di legge riguardante la delega per la Riforma dell’Ordinamento Giudiziario.
Le norme sull’ordinamento giudiziario delineate dalla riforma sono complesse e farraginose e tendono al risultato, sostanzialmente incostituzionale, di “sterilizzare” le competenze che la Costituzione aveva attribuito al Consiglio Superiore della Magistratura. Tutto ciò che riguarda le carriere incide fortemente sulla categoria dei magistrati e suscita malumore ed allarme, ma interessa poco il cittadino comune. Ma c’è una soglia oltre la quale il problema non è più interno alle categorie professionali, diventa un problema di tutti perché attiene ai diritti ed alla libertà.
Sono proprio di diritti dei cittadini e la Libertà ad essere messi in causa dall’ultimissima versione della riforma. Vi sono tre punti sui quali deve essere sollevato l’allarme:
1) Gerarchizzazione massima degli Uffici del Pubblico Ministero;
2) Soppressione (per via disciplinare) delle associazioni dei magistrati e della libertà di associazione per ciascun magistrato.
3) Ridimensionamento della funzione giurisprudenziale di interpretazione delle leggi.
La delega introduce un livello di gerarchizzazione degli Uffici del Pubblico Ministero, sconosciuto persino in epoca fascista, trasformando i Pubblici Ministeri in una specie di corpo militare, vincolato all’obbedienza nei confronti del Capo dell’Ufficio, che può revocarli, sostituirli a proprio piacimento ed orientarne le indagini. Questa verticalizzazione viene rafforzata dal principio dell’”opacità” introdotto per legge, in virtù del quale è fatto divieto ad ogni singolo magistrato di “tenere rapporti con organi di informazione”. Insomma ai magistrati del Pubblico Ministero, si potrà applicare il motto dei Carabinieri: “adusi ad obbedir tacendo”.
Poiché tutti gli uomini sono mortali, la concentrazione di tutti i poteri di indagine in testa ad una sola persona si presta, più facilmente, a dar luogo ad abusi. Per di più, qualora in un Ufficio giudiziario i poteri di vertice non venissero utilizzati nel migliore dei modi, la cosa dovrebbe restare rigorosamente riservata, in virtù del principio dell’”opacità”, che vieta ad ogni singolo magistrato di denunziarli pubblicamente.
La questione ha incidenza diretta ed immediata sui diritti dei cittadini, basti pensare ai fatti di Genova del luglio 2001 ed alla eventualità che in futuro si possano ripetere episodi simili, in assenza di un controllo effettivo di legalità.
Con l’emendamento Bobbio, la delega decreta una sostanziale messa fuori legge dell’Associazione Nazionale Magistrati e delle componenti associative che ne fanno parte.
La norma, infatti, non solo proibisce l’iscrizione o l’adesione a partiti politici (astrattamente consentita dall’art. 98 della Costituzione), ma anche la partecipazione a “movimenti o associazioni o enti che perseguono finalità politiche o svolgono un’attività di tale natura, nonché la partecipazione a loro attività o iniziative di carattere interno ovvero ad ogni altra che non abbia carattere scientifico, ricreativo, sportivo o solidaristico”
Le associazioni dei magistrati non vengono formalmente sciolte, però ai magistrati è proibito farne parte, sotto pena di sanzioni disciplinari, poiché non vi è dubbio che tali associazioni, interessandosi di giustizia, perseguono un fine e svolgono attività politica.
Il fascismo aveva messo fuori legge l’Associazione Generale dei Magistrati italiani ed aveva espulso dalla magistratura i magistrati che l’avevano diretta, avvalendosi di una legge speciale (24/12/1925, n.2300) che aveva disposto la dispensa dal servizio dei magistrati che: “per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori ufficio non dessero piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si ponessero in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo.”
Oggi lo stesso risultato viene realizzato dalla Casa della Libertà attraverso la via obliqua dello strumento disciplinare.
Qui si pone una grande questione di libertà. Non per i magistrati (che pure vengono privati di diritti costituzionali), ma per i cittadini italiani. Il fascismo aveva cancellato l’Associazione dei Magistrati perché si trattava di un corpo intermedio che “politicizzava” i giudici e quindi, in qualche modo, ostacolava l’assetto totalitario del potere. Non si tratta soltanto del problema dei diritti costituzionali di alcune persone, quello che viene messo in discussione è il principio del pluralismo, che attiene alla consistenza costituzionale dei corpi intermedi che si interpongono fra la persona e lo Stato.
Quello che il fascismo non aveva mai fatto, però, era di mettere becco nel processo di interpretazione delle leggi che, per un principio antichissimo, precedente allo Stato liberale, costituiva funzione specifica del potere giudiziario. Adesso è stata superata anche questa barriera. Un’altra norma dell’emendamento Bobbio vieta l’interpretazione contraria allo volontà della legge (vedasi legge sulle rogatorie) e l’interpretazione “creativa”.
Se qualche giudice, in futuro, per tutelare i diritti dei cittadini, decidesse di fare una interpretazione “costituzionalmente orientata” di qualche legge del polo, o decidesse di rimettere alla Corte Costituzionale quella stessa legge, o decidesse di derogarla, dando applicazione al diritto comunitario, la cosa potrebbe costargli molto cara. Ma ai cittadini italiani costerebbe ancor di più.