Il tema del regime è stato già introdotto questa mattina nella relazione introduttiva di Aldo Tortorella ed è stato ripreso nell’intervento di Piero di Siena. Tuttavia l’on. D’Alema ci aveva già rassicurato a Firenze, ed oggi torna a rassicurarci dalle colonne del Corriere della Sera, facendoci sapere che in Italia non esiste il pericolo di un regime. Dal canto suo l’on. Bertinotti ha dichiarato che non bisogna “demonizzare” Berlusconi.
Sono d’accordo, non bisogna demonizzare Berlusconi, perché al peggio non c’è mai limite. Magari alle prossime elezioni potrebbe essere eletto Totò Riina o Bernardo Provengano!
Tuttavia non è questo il momento di minimizzare i rischi che corre la democrazia costituzionale di fronte alla nuova dimensione del potere politico, economico e mediatico che incalza. Quando si parla di regime si pensa ad un mutamento delle istituzioni sulla scia di pratiche o concezioni politiche di tipo fascista. Il fascismo non è soltanto un’esperienza storica, come tale conclusa ed irripetibile, ma è anche una categoria politica, come tale può suscitare dei fenomeni ricorrenti nei periodi di crisi della politica.
In tutti i fenomeni politici di fascismo vi sono dei tratti comuni. Due sono le categorie che assumono valore identificativo. La prima è la concezione dei diritti fondamentali, la seconda è la concezione monista (totalitaria) del potere.
Il fascismo non contesta l’esistenza dei diritti fondamentali, quello che non riesce proprio ad accettare è la concezione della loro universalità. Nel fascismo è tratto identificativo la presenza di un principio di discriminazione, che si può esprimere in vari modi, a seconda della diverse situazioni storiche, manifestandosi sotto forme razziali o etniche o religiose, o in altro modo. Ebbene noi vediamo avanzare nella cultura e nella pratica di questo gruppo dirigente (non solo nella Lega) una politica attiva di disconoscimento dei diritti fondamentali nei confronti delle categorie deboli.
La legge sull’immigrazione costituisce il primo banco di prova. Il testo votato dal Senato, anche se rende più precaria la situazione dei lavoratori migranti e li grava di maggiori fardelli burocratici, non innova radicalmente la disciplina preesistente, se non su un punto estremamente qualificante. La legge colpisce i diritti fondamentali degli immigrati e dei profughi, facendo sostanzialmente venir meno le garanzie della giurisdizione, su una questione che può avere anche valore di vita o di morte qual’è quella dell’espulsione o del rimpatrio. Il testo unico della legge sugli stranieri all’art. 19 prevede il divieto di espulsione verso Stati in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione. La questione è di notevole peso perché nella persecuzione ci può essere anche la tortura o l’uccisione. Il nuovo testo licenziato dal Senato non cancella tale divieto (sarebbe stato indecente) però lo rende sguarnito della garanzie giudiziarie, dal momento che l’espulsione può essere contestata soltanto a posteriori, dopo che è stata eseguita.
Un altro punto qualificante, che riguarda direttamente il diritto alla vita, qual è la questione dei profughi in mare, è stato oggetto di una disciplina che ha un carattere sinistro. Mi riferisco al famigerato emendamento che prevede il ricorso alla marina militare in acque internazionali. Noi abbiamo già conosciuto l’esito catastrofico che ha provocato, nella Pasqua del 1997 l’intervento della marina militare in funzione di contrasto delle imbarcazioni dei profughi. Tale intervento allora non era previsto da alcuna legge, avvenne su istruzioni del Ministro della difesa dell’epoca, Andreatta. Dopo il naufragio della nave albanese nel Canale d’Otranto, ed il procedimento giudiziario che ne è seguito, evidentemente le istruzioni sono cambiate e la marina militare non è stata più adoperata per azioni di contrasto alla navigazione delle carrette dei mari, né tantomeno si è pensato di inserire nell’ordinamento delle norme che legittimassero un tale intervento. Nel testo licenziato dal Senato, invece, si prevede l’intervento della marina militare in acque internazionali, ma la norma non dice in che modo questa azione di contrasto deve essere esercitata. La questione viene risolta con una norma in bianco, che rimanda al Governo il potere di definire le modalità di intervento con decreto interministeriale.
Che istruzioni saranno date alle navi della marina militare della quale si è voluto – a tutti i costi – prevedere l’intervento in acque internazionali in funzione di contrasto all’immigrazione clandestina?
Non lo sappiamo. Il decreto interministeriale non è stato ancora emanato. Forse per questo, di fronte al naufragio avvenuto la notte scorsa nel canale di Sicilia, la Marina non è intervenuta tempestivamente e la Cassiopea è rimasta a guardare.
Un altro argomento sensibile sul fronte dei diritti fondamentali è quello dell’ordine pubblico. I fatti di Genova sono un esempio illuminante di come questo nuovo ceto dirigente intende tutelare l’ordine pubblico ed il diritto a manifestare pubblicamente il dissenso politico. E’ ben vero che siamo in presenza di un processo di rimilitarizzazione e di fascistizzazione strisciante delle forze di polizia che viene da lontano e che ci ha dato delle sinistre avvisaglie già durante il periodo del centro-sinistra, però a Genova c’è stata un’accellerazione ed un salto di qualità inconcepibile. Sono stati ampiamente superati i limiti dello Scelbismo. La polizia di Scelba era durissima nel contrastare la piazza, ma non effettuava dei raid nei luoghi del movimento, come la Camere del Lavoro o le Case del popolo del tipo di quello che è stato effettuato alla scuola Pertini/Diaz , la notte del 21 luglio. Una vera e propria spedizione punitiva, a seguito della quale sono state ricoverate in Ospedale 66 persone delle 93 presenti. E’ interessate rilevare che tale intervento è stato formalmente giustificato come una operazione di polizia giudiziaria effettuato di iniziativa della polizia sulla base di una norma che consente la perquisizione per la ricerca di armi, senza preventivo mandato dell’Autorità giudiziaria. Si è trattato, insomma di una operazione di polizia giudiziaria sottratta al controllo del P.M..Questo fatto la dice lunga sul senso delle riforme della giustizia in cantiere.
Infine c’è un terzo livello che riguarda l’approccio di questa maggioranza al tema dei diritti, che è quello dei diritti sociali. Non posso impegnarmi in una discussione sulle principali questioni che emergono dalla legge delega. Giustamente il sindacato ha messo al centro della sua opposizione la questione delle modifiche all’art. 18. L’irrigidirsi del Governo su questo tema, malgrado l’ampia protesta sociale che sta suscitando nel paese, testimonia l’altissimo valore simbolico del problema. Il diritto alla tutela contro il licenziamento illegittimo è la madre di tutti i diritti dei lavoratori. L’attacco furioso che il berlusconismo sta portando contro l’art. 18 (anche attraverso l’emarginazione della giustizia del lavoro) esprime una esigenza di demolizione del sistema dei diritti dell’uomo lavoratore, che si può giustificare soltanto nell’ottica di un fondamentalismo politico di tipo fascista.
E’ veniamo alo secondo corno dell’identità dei fenomeni politici di tipo fascista: la concezione monista (totalitaria) del potere.
I fascismi nella prima metà del secolo scorso hanno praticato una concezione totalitaria del potere. In Italia il totalitarismo è stato costruito attraverso un veloce processo di demolizione del pluralismo e delle autonomie realizzato da un ceto dirigente che aveva conquistato una ampia maggioranza parlamentare nelle elezioni politiche del 1924. Oggi questo processo non sarebbe più possibile perché viviamo in una realtà politica, economica ed istituzionale completamente differente. Nel 1924 non c’era una costituzione rigida che poneva dei limiti insuperabili al potere legislativo, non c’era una Corte costituzionale, non c’era un sistema che garantiva l’indipendenza della magistratura, non c’erano i vincoli penetranti che provenivano dall’ordinamento internazionale e dal sistema di integrazione europea, non c’era un Europa, come potere sopranazionale con la capacità di imbrigliare la legislazione nazionale e di porre paletti e regole. Oggi questo nuovo ceto politico si muove in un quadro in cui il totalitarismo è impossibile. Tuttavia Berlusconi ed i suoi amici perseguono con determinazione la stessa concezione monista del potere che animava Mussolini ed i suoi amici e stanno facendo dei passi avanti forzando tutte le regole e gli ostacoli che incontrano, attaccando il sistema delle autonomia e della distribuzione e diffusione dei poteri delineato dalla Carta costituzionale, in ciò agevolati da alcune sciagurate riforme introdotte dal centro-sinistra. La prima crepa nell’edificio del pluralismo costituzionale è venuta dall’introduzione del maggioritario. Il maggioritario, almeno nell’esperienza italiana, trasforma tutti i Parlamentari in uomini del premier (così come in una azienda i consiglieri di amministrazione sono degli yesmen del proprietario). E’ così cessata ogni forma di controllo parlamentare sull’attività del Governo. Anzi con la XIV legislatura sta emergendo il fenomeno di una inusitata collusione fra il Governo e la maggioranza parlamentare. Basti pensare al fatto che sulle questioni politicamente più scottanti il Governo presenta dei disegni di legge nei quali non emergono le vere scelte politiche che si vogliono compiere. Queste scelte poi vengono fuori attraverso emendamenti presentati dalla maggioranza durante l’iter parlamentare. E’ successo alla legge sul falso in bilancio ed alla legge di riforma del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura, le cui norme più velenose sono state debitamente occultate dal Governo e poi fatte emergere un attimo prima della votazione sotto forma di emendamenti presentati dalla maggioranza.
Le aporie del maggioritario che la C.d.L sfrutta alla massima potenza sono presenti anche in altri ordinamenti, come per es. in Inghilterra, quindi non costituiscono il tratto distintivo di questo nuovo fenomeno politico, che presenta caratteri peculiari sotto altri profili.
Pensiamo al sistema delle autonomie, che costituiscono l’antidoto assoluto al totalitarismo concepito dai nostri costituenti. In particolare a quello snodo fondamentale collegato alla libertà di espressione del pensiero (art. 21 cost.).
Il fascismo chiudeva i giornali dell’opposizione, dapprima con la violenza degli squadristi e dopo con la forza delle leggi. Oggi viviamo in tempi diversi, la libertà di stampa e di comunicazione del pensiero con altri mezzi non può essere attaccata. Adesso non si possono più mandare delle squadracce a chiudere dei giornali e non si può più istituire una censura di regime. Ed allora si punta ad ottenere lo stesso risultato con altri mezzi. Loro comprano i giornali e le televisioni, le case editrici, ed adesso controllano anche la TV pubblica (sia pure con un po’ di difficoltà), con la conseguenza che il 90% della comunicazione sociale è soggetta ad un controllo e ad una censura ferrea nell’interesse del berlusconismo. Certo quel dieci per cento che rimane libero nel sistema della comunicazione sociale è per loro incomprimibile. Ci sono le colonne d’Ercole dell’articolo 21 della costituzione che non possono essere oltrepassate. Però anche quel 10% è insidiato, attraverso un’altra strada. Oggi i libri dei vari Travaglio e compagni possono circolare e trovare un limitato spazio di attenzione in quanto esiste una autorità giudiziaria indipendente che – finora – ha respinto tutti gli attacchi volti a far chiudere la bocca – per via giudiziaria – a tutti i biografi non autorizzati del Presidente e degli altri dignitari del regime.
E veniamo all’attacco a quello snodo essenziale del pluralismo istituzionale che è il sistema dell’indipendenza della magistratura.
Qui l’attacco viene portato su più fronti.
Il primo di questi fronti è quello della legalità. Sta avanzando un processo inusitato nella storia della Repubblica che è volto a ridurre il livello di legalità, riducendo così lo spazio dei controlli per garantire l’impunità al ceto politico di regime. Le leggi sul falso in bilancio e sulle rogatorie (come anche le nuove normative sugli appalti pubblici) ne sono un esempio illuminante.
Il secondo fronte è quello delle aggressioni ai giudici, che avvengono creando delle vere e proprie gogne medianiche, con un palese effetto intimidatorio.
Gli atti di intimidazione dei giudici compiuti attraverso denigrazioni ripetute ed ossessive compiute da vari personaggi ed in varie sedi sono ormai così stratificati che è impossibile persino riepilogarli. Basti pensare all’uscita dell’ex sottosegretario Taormina che ha invocato addirittura l’arresto dei giudici milanesi e l’incredibile mozione parlamentare del 5 dicembre, con la quale il Senato ha sottoposto a pesanti critiche i provvedimenti giudiziari relativi ai processi penali in corso riguardanti l’on. Berlusconi e l’on. Previti, accusando i magistrati di essersi ribellati alla legge ed alla Corte Costituzionale e di “usare l’alto mandato, con le relative prerogative previste dalla Costituzione, ai fini di lotta politica, fino ad interferire nella vita politica del paese”, per finire alla solenne accusa rivolta ai magistrati di mani pulite dal Presidente del Consiglio, di aver scatenato in Italia “una guerra civile”, ispirata da un “complotto comunista”.
Tali atti tendono da un lato ad intimidire, dall’altro a far accrescere il conformismo verso questo nuovo potere.
Il fascismo operò una epurazione fra i magistrati, ricorrendo ad una legge temporanea (la L. 24/12/1925 n. 2.300) che dispose la dispensa dal servizio per quei magistrati che “per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori di ufficio non dessero piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si ponessero in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo.”
Oggi non sarebbe più possibile ripristinare una simile norma, però è stata ripristinata la stessa mentalità che ispirava norme simili. Gli squadristi di Forza italia hanno scatenato una gazzarra per censurare il Presidente del Tribunale di Trento, reo di essersi recato a Milano per partecipare alla manifestazione del Palavobis.
Il fascismo aveva messo al bando e disciolto l’Associazione Generale dei Magistrati italiani. I berlusconisti non possono farlo perché hanno le mani legate dalla Costituzione, però hanno approvato una riforma del sistema elettorale del CSM che non ha altro scopo ed altro significato politico che non sia quello di cancellare il ruolo politico dell’Associazione Nazionale Magistrati, impedendole di presentare le sue liste per l’elezione dei magistrati nell’organo di autogoverno.
Tuttavia i vincoli della Costituzione non costituiscono un ostacolo preoccupante più di tanto per gli architetti del nuovo potere.
E veniamo al terzo fronte dell’attacco al sistema dell’indipendenza della magistratura.
Il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario di Forza Italia è il più insidioso e completo progetto di condizionamento politico della magistratura e di riduzione del controllo di legalità che sia stato mai concepito dalla fondazione della Repubblica ad oggi. Questo progetto aggira ed infrange le norme costituzionali, ma può essere realizzato, nella versione meno hard, con leggi ordinarie, sia pure incostituzionali.
Si pensi alla questione della scuola della magistratura. Attualmente la formazione dei magistrati viene curata dal CSM. Nel progetto Gargani questa competenza sarebbe sottratta al CSM e trasferita al Ministro della Giustizia. Peraltro la formazione non avrà solo effetti formativi, ma anche valutativi, di cui il CSM inevitabilmente dovrà tenere conto nel decidere i trasferimenti e le promozioni dei magistrati. Immaginate cosa succederà quando i leghisti o i ragazzi di Salò avranno il potere di dare le pagelle ai magistrati.
Un’altra perla del progetto Gargani è quella della sottrazione dell’attività di P.G. dal controllo del pubblico ministero. L’esempio di Genova è altamente illuminante. A ciò si aggiungono delle inusitate limitazioni al potere di iniziare l’azione penale da parte del Pubblico Ministero. Infine completa il quadro la sostituzione della giustizia privata degli arbitri a quella pubblica esercitata dai magistrati nel campo dei diritti dei lavoratori.
Se si combinano tutti questi elementi il risultato è esplosivo. Si sta costruendo un regime di tipo fascista. Certo si tratta di un fascismo morbido in un quadro in cui il totalitarismo non è più storicamente e giuridicamente possibile, ma non per questo meno pericoloso e deprecabile di quello che abbiamo conosciuto il secolo scorso.
Quella che è messa in discussione è la c.d. “libertà degli antichi”, i principi basilari che ci garantiscono prima di tutto la libertà, oggi la libertà è minacciata nel nostro paese.
Non è possibile fare una battaglia per la difesa dei diritti sociali, così gravemente insidiati in questo momento politico, come se fosse una questione separata dalla questione ordinamentale. Non è possibile contrapporre o tenere separati il popolo dei girotondi, quello dei no global e quello degli scioperi.
A volte emergono in frange delle espressioni di fastidio quando viene giustamente drammatizzato il problema della giustizia e talora qualcuno tergiversa, accampando delle critiche alla magistratura per sentenze sbagliate o discutibili come quella per i fatti di Porto Marghera. Allora mi viene in mente la scena del colonnello Tequero, che con il mitra in mano ed il volto tinto di nerofumo fece irruzione nelle Cortes, nel 1981, per stroncare la democrazia in Spagna. Di fronte ad una situazione del genere sarebbe stato paradossale discutere se l’attività del Parlamento andava apprezzata o meno o se il Parlamento aveva approvato leggi reazionarie o discutibili..
Quando c’è un colonnello Tequero che è penetrato nel ridotto della democrazia, nel cuore del sistema democratico, allora c’è una sola cosa da fare: fare quadrato e difendere le istituzioni democratiche.
Noi oggi abbiamo un’altra versione, meno pittoresca ma più insidiosa, del colonnello Tequero che è penetrato nel ridotto della nostra democrazia e sta sparando all’impazzata.
Di fronte a questo pericolo c’è una sola risposta. Contro il fascismo ci vuole la resistenza.
Roma, 9 marzo 2002