Il concetto di “onore militare” ricorre frequentemente nei manuali e nei codici militari. Il Codice Penale militare di guerra da un grande rilievo al concetto di “onore militare” e lo fa diventare, addirittura fonte del diritto, in quanto punisce, considerandoli crimini, tutti quegli atti o metodi di guerra, contrari all’“onore militare”.
Un po’ più difficile è cimentarsi con il compito di definire quali siano i comportamenti che offendono l’onore militare.
Però possiamo essere tutti d’accordo che se c’è un’azione che vilipende al massimo grado l’onore militare, questa azione è l’atto di sparare sulle ambulanze, tanto che l’espressione «sparare sulla Croce Rossa» è diventata una metafora per indicare un comportamento demenziale, vigliacco e ingiustificabile.
Se poi sull’ambulanza, oggetto del nostro “fuoco amico” si trova una partoriente che perde la vita assieme al proprio bambino e ad altre tre persone, allora la cosa diventa ancora più grave.
Per quanto tutto ciò possa sembrare assurdo, proprio questo è l’evento che il giornalista americano Micah Garen aveva scrupolosamente documentato a Nassiriya, intervistando l’autista dell’ambulanza, sopravvissuto, assieme ad altre persone e trasmettendo le immagini dell’automezzo semidistrutto.
Secondo la versione ufficiale, nel corso degli scontri, avvenuti nella notte fra il 5 ed il 6 agosto, i militari italiani avrebbero sventato l’attacco di un’autobomba scagliata contro di loro, facendola esplodere. Il fatto stesso che l’autoveicolo sia esploso costituirebbe la dimostrazione che si trattava di un’autobomba.
Tuttavia la versione ufficiale non è stata supportata da uno straccio di prova, nessuno ci ha trasmesso le immagini del relitto della pretesa autobomba, né ci ha fornito informazioni sulla sorte dei presunti occupanti del veicolo. Invece il coraggioso giornalista americano ha fornito una versione dei fatti accompagnata da documentazione fotografica ed interviste ai testimoni.
Le due versioni concordano solo su un punto: l’autista del veicolo esploso doveva essere un Kamikaze. Infatti soltanto un Kamikaze, avrebbe potuto guidare un’ambulanza e attraversare un ponte sul quale infuriava una battaglia con l’assurda pretesa di portare in Ospedale una donna partoriente.
Poiché sparare sulle ambulanze (e uccidere 4 persone) non è consentito neanche nel Far West Iracheno, le notizie trasmesse dalle televisione e riportate dai giornali in ordine alla ricostruzione dell’evento effettuata da Micah Garen costituiscono, in senso tecnico, «notizia di reato», sulla quale dovrà indagare, e fare piena luce, l’Autorità Giudiziaria competente.
Noi non abbiamo motivo di dubitare che la Procura presso il Tribunale militare di Roma effettuerà tutte le indagini necessarie e opportune. Tuttavia l’esperienza insegna che gli ambienti militari non sempre accettano con serenità il controllo di legalità da parte dell’Autorità giudiziaria, quando sono in gioco questioni di un certo spessore politico, ed a volte alzano un vero e proprio muro di gomma, come insegna la vicenda di Ustica.
Se noi rileggiamo la risposta che il portavoce della missione Antica Babilonia ha dato alle domande sollevate dall’Unità (20 agosto), allora l’impressione del muro di gomma diventa qualcosa di solido.
In questo contesto diventa tanto più inquietante la rilettura delle e-mail in cui Garen racconta il “trattamento” subìto dalla polizia militare italiana, che lo ha interrogato per sei ore, trattandolo come “un criminale”.
In effetti non c’è da stupirsi se i Carabinieri hanno interrogato Garen, dal momento che lo stesso ha trasmesso una “notizia di reato”. Tuttavia dal testo dei messaggi non sembra che l’interrogatorio subito dal giornalista possa inquadrarsi nell’ambito della dovuta attività di polizia giudiziaria, cioè di quella attività che gli Ufficiali di polizia giudiziaria devono compiere, anche di propria iniziativa, per “prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale” (art. 55 c.p.p.).
Infatti, leggendo in controluce le dichiarazioni rese all’Unità dal portavoce della missione italiana, emerge che la polizia militare italiana, che pure si è impegnata a “torchiare” il giornalista americano per farsi consegnare gli originali delle registrazioni, non ha effettuato nessun accertamento per controllare la fondatezza della notizia di reato diffusa da Garen. Invece, il fatto che Garen sia stato trattato “come un criminale”, può essere una spia del disappunto che hanno provato le autorità militari a causa della diffusione di una notizia di cui si voleva impedire la divulgazione, in quanto nuoceva, come in effetti nuoce, all’onore militare del contingente italiano e, ancor più, all’onore politico di coloro che hanno messo gli uomini del contingente italiano in condizione di sparare sulle ambulanze.
Quello che è certo è che su questi fatti non può essere steso un velo di silenzio: su quell’ambulanza c’eravamo anche noi.