Se la Cassazione tutela la sovranità popolare, il regime ha una crisi di nervi.
L’ordinanza dell’Ufficio Centrale del Referendum presso la Corte di Cassazione è piovuta come una folgore dal cielo sconvolgendo il progetto, rivendicato con impudenza del Presidente del Consiglio, di impedire lo svolgimento del referendum, senza rinunziare al programma nucleare.
Così mentre si fingeva un falso aplomb, dichiarandosi disinteressati ai referendum e lasciando agli elettori del centrodestra la massima libertà di scelta, contemporaneamente si contraddiceva questo atteggiamento scagliando una valanga di rabbiose recriminazioni contro la Corte di Cassazione, accusata di aver emesso una sentenza “politica” al solo scopo di contrastare l’azione del Governo.
Le aggressioni agli organi di garanzia sono una costante del berlusconismo e testimoniano la ontologica incompatibilità del regime con le regole della democrazia costituzionale, ma in questo caso lo sgomento è comprensibile perchè la Cassazione decidendo che il referendum si deve tenere lo stesso sulle nuove norme, ha messo il Governo in braghe di tela.
Ha disvelato la natura mistificatoria dell’operazione attuata per sottrarre al popolo italiano la possibilità di decidere del suo futuro, sventando quello che con linguaggio giornalistico era stato definito un “furto di democrazia”, che, in realtà, costituisce un vero e proprio attentato alla sovranità popolare.
Nell’ordinanza depositata il 3 giugno, la Cassazione, richiama i principi di diritto, in materia di referendum, posti dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n. 68/78) che ha avvertito che, se nonostante le innovazioni che siano state apportate la intenzione del legislatore rimane fondamentalmente identica a quella contenuta nelle norme sottoposte a referendum “la richiesta di referendum non può essere bloccata perchè diversamente la sovranità del popolo, (attivata da quell’iniziativa) verrebbe ridotta a mera apparenza”.
Quindi la Corte procede all’esame della nuova disciplina per verificare se, nonostante le innovazioni, la volontà del legislatore sia rimasta sostanzialmente immutata e giunge alla conclusione che la disciplina introdotta dal decreto legge 31 marzo 2011 n. 34, così come modificato dalla legge di conversione, 26 maggio 2011, n. 75, “in contraddizione manifesta con le dichiarate abrogazioni (delle norme oggetto del referendum), dà luogo ad una flessibile politica dell’energia che include e non esclude, anche nei tempi più prossimi, la produzione di energia a mezzo di centrali nucleari e vanifica nell’attuale ed in modo totale il fine abrogativo della proposta referendaria”. In particolare la Corte rileva che il comma 1 dell’art. 5: “non esprime solo programmi per il futuro, ma detta regole, aventi al forze e l’efficacia di una legge che apre nell’immediato al nucleare (solo apparentemente cancellato dalle dichiarate abrogazioni..)”. Osserva, inoltre, la Corte che il comma 8 del medesimo articolo, evidenzia “la reiterazione di una opzione legislativa nuclearista, incompatibile con gli obiettivi del referendum indetto.”
Di conseguenza la Corte di Cassazione, obbedendo alla Costituzione (anziché alla volontà di una contingente maggioranza politica), ed ai principi di diritto espressi dalla Corte Costituzionale, ha trasferito il quesito referendario sulla nuova disciplina e lo ha riformulato in questo modo: “Volete voi che siano abrogati i commi 1 e 8 dell’art. 5 del D.L. 31 marzo 2011 n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 26/5/2011 n. 75?”
Nell’estremo tentativo di scongiurare il referendum il Governo ha proposto un ricorso alla Corte Costituzionale perchè dichiari inammissibile il nuovo quesito formulato dalla Cassazione. Il ricorso sarà discusso il 7 giugno, ma anche questo tentativo è destinato al fallimento. Sarebbe ben strano, infatti, se la Consulta censurasse la Cassazione per aver dato attuazione ai principi di diritto affermati dalla stessa Corte Costituzionale. In realtà la Corte di Cassazione ha adempiuto, in modo indipendente, alla sua funzione di organo di garanzia, tutelando i principi di correttezza istituzionale che debbono ispirare la vita della Repubblica e – specificamente – la sovranità popolare, attivata dall’iniziativa referendaria. Non v’è dubbio che ripristinare le regole democratiche calpestate sia un affronto per questa maggioranza. Specialmente se i giudici si mettono a difendere la sovranità popolare, confiscata da chi si ritiene Sovrano del popolo.