Anche se incalzato da una crisi economica che più volte si era vantato di avere affrontato meglio dei governi degli altri paesi europei, “commissariato” dalla Germania, dalla Francia e dalla BCE e stretto d’assedio dalle parti sociali che gli hanno chiesto provvedimenti urgenti per evitare il disastro, il Governo Berlusconi non demorde dal suo progetto politico, che ha come obiettivo finale la demolizione della Costituzione italiana.
Anzi, la situazione di emergenza rende l’attacco ancora più insidioso. Invocare la manomissione dell’art. 41 della Costituzione, come strumento per reagire al disastro dei conti pubblici, significa attribuire alla Costituzione il fallimento economico che è stato determinato invece dalla politica.
Da una politica dissennata di dissipazione dei beni pubblici, a cominciare dall’Erario (condoni agli evasori, scudi fiscali, etc.)
Ma torniamo all’art. 41. Cosa dice questa norma? Comincia con l’affermazione “l’iniziativa economica privata è libera”; aggiunge poi che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo di arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”; precisa infine che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Cosa c’è in tali previsioni che possa mortificare lo sviluppo delle forze produttive?
Cosa si vuole: che vengano cancellate le norme finalizzate a contrastare la formazione di monopoli; o alcune di quelle finalizzate alla tutela del lavoro o dei consumatori; o che si possa intraprendere qualsiasi attività economica, anche se pericolosa, senza alcuna autorizzazione preventiva?
A ben vedere l’art. 41 è uno dei capitoli più innovativi ed originali della Costituzione italiana, nel quale è sviluppata una concezione dell’attività economica che equilibra la logica del mercato e della proprietà con le funzioni sociali, garantite e promosse dall’intervento pubblico. Essa si fonda sul riconoscimento della centralità del lavoro e sulla consapevolezza dell’importanza che l’assetto ed i rapporti economici hanno ai fini della realizzazione di una società di esseri umani liberi ed uguali. Si tratta di una scelta di civiltà, come fu una scelta di civiltà quella tra democrazia e totalitarismo.
Nel momento in cui il fallimento dell’ideologia liberista e del capitalismo selvaggio (certificato ieri dalla crisi dei mutui ed oggi dalla crisi delle borse) ha mostrato i limiti invalicabili di una politica che pretende di trasferire tutta la sovranità al mercato, la concezione equilibrata del fenomeno economico prefigurata dai costituenti si rivela di straordinaria attualità. Questa concezione ha ricevuto un’ulteriore legittimazione dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che ha inserito le dinamiche produttive nei binari dell’economia sociale di mercato, fondata sul riconoscimento della dignità prevalente della persona.
L’attacco politico all’art. 41 della Costituzione prefigura pertanto un inaccettabile imbarbarimento dei rapporti economico-sociali e svela un progetto politico che punta a demolire l’edificio dei diritti dell’uomo il cui destino non può essere separato dal contesto economico sociale nel quale si svolge la vita di ciascuno. Questo proposito conferma la natura eversiva del progetto politico che fa capo all’attuale maggioranza di governo che, abbandonando ogni cautela, punta ora al bersaglio grosso: la demolizione della “costituzione economica”.
Certo la modifica dell’art. 41 è un obiettivo più che altro simbolico perché non determina effetti concreti immediati, bensì rimanda ad un’altra idea di società e di Stato, ma proprio per questo bisogna opporsi con determinazione.