Per favore non sparate sulla Procura
“La Corte costituzionale – informa la Consulta con il suo comunicato del 4 dicembre – in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3 comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti”.
La Corte dunque ha deciso il conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato, accogliendo il ricorso del presidente della Repubblica che l’aveva sollevato.
Subito si sono scatenati commenti vivaci che hanno preso di mira soprattutto la Procura della Repubblica di Palermo, mentre è rimasta isolata ed è stata subito censurata la voce del Procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, che ha espresso il suo dissenso qualificando “politica” la decisione della Consulta.
In realtà, sul piano teorico, nessuna censura può essere mossa alla sentenza della Consulta fino a quando non saranno depositate le motivazioni della sentenza. Soltanto allora potremo capire se lo sbocco che la Consulta ha dato al conflitto di attribuzione sia fondato su un solido impianto argomentativo, ovvero lasci trapelare cedimenti a valutazioni di opportunità politica o di ragione di Stato.
Sarebbe sbagliato, però, interpretare questa decisione come una “sconfitta” della Procura di Palermo, che avrebbe esorbitato dai suoi poteri, compiendo azioni arbitrarie ed intercettando illegalmente il Presidente della Repubblica.
Come emerge dal comunicato, la Consulta non ha mosso alcuna critica alla Procura di Palermo per l’intercettazione indiretta di conversazioni del Presidente della Repubblica, avvenuta casualmente intercettando una persona indagata. La questione sulla quale è avvenuto il conflitto riguardava la procedura da utilizzare per eliminare tali intercettazioni, che – a giudizio dei PM – non hanno nessuna rilevanza nel processo penale.
Secondo la procedura penale, che è ispirata a criteri di trasparenza e di garantismo, non è consentito al Pubblico Ministero decidere quali intercettazioni versare nel processo e quali no, senza che ne venga informata la difesa dell’imputato. Di norma, la questione della utilizzabilità/inutilizzabilità delle intercettazioni e della loro eventuale irrilevanza, deve essere portata dinanzi ad un giudice terzo che decide, sentite le parti, poiché il diritto alla riservatezza delle parti non implicate nel procedimento penale non può prevalere sul diritto alla difesa dell’imputato.
In questa vicenda la Procura di Palermo non ha ritenuto di poter by-passare le norme della procedura penale, in mancanza di disposizioni precise che riguardassero la posizione di speciale immunità del Presidente della Repubblica. La Corte è stata chiamata a regolare i confini dell’immunità funzionale del Presidente della Repubblica, prevista dall’art. 90 della Costituzione, affrontando una questione nuova che non era mai stata oggetto di pronunciamenti giurisdizionali.
Quindi la Corte ha stabilito un principio di diritto di cui dovrà tener conto l’Autorità giudiziaria, se si verificassero casi simili in futuro.
La soluzione a cui è pervenuta la Consulta non è né una vittoria del Presidente della Repubblica, né una sconfitta della Procura di Palermo, che non ha mai ritenuto di utilizzare nel processo sulla trattativa Stato-Mafia le intercettazioni indirette del Presidente.
Quello che ci lascia perplessi, sul piano della cultura delle istituzioni è il rischio di una interpretazione delle prerogative del Presidente della Repubblica in chiave di inviolabilità, secondo l’ottica dello Statuto albertino.