Una giornata particolare è il film di Ettore Scola del 1977 in cui i personaggi principali, Antonietta e Gabriele, si conoscono nella giornata del 6 maggio 1938, data della storica visita di Adolf Hitler a Roma. Una giornata particolare per la democrazia italiana è stata quella del 12 febbraio 2020, quando il Senato ha votato l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, richiesta dal Tribunale dei Ministri di Catania per il reato di sequestro di persona nei confronti di 131 profughi recuperati in mare dalla nave Gregoretti della Guardia costiera. E’ curioso che coloro che si sono sbracciati per lo sfregio allo Stato di diritto inferto dalla riforma Bonafede sulla prescrizione, non abbiano avuto nulla da obiettare di fronte ad una condotta che si è sostanziata – come ha riconosciuto il sen. Gregorio De Falco – in una inutile crudeltà ai danni di persone vulnerabili, salvate dalla morte in mare dopo essere sfuggite all’inferno dei lager libici. Secondo la legge costituzionale n.1/89, il Parlamento può respingere l’autorizzazione a procedere nei confronti di un Ministro indagato per un reato commesso nell’esercizio delle sue funzioni qualora questi abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per perseguire un preminente interesse pubblico. Nel dibattito in Senato, esclusa la barzelletta della difesa dei confini, nessuno è stato in grado di indicare quale fosse l’interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero l’interesse pubblico preminente sul bene giuridico della dignità e libertà personale presidiato dall’art. 13 della Costituzione che prevede che la libertà personale è inviolabile ed aggiunge: “Non è ammessa forma alcuna di detenzione (..)né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.” In realtà nell’ordinamento democratico non può esistere nessun interesse pubblico preminente sul valore giuridico della vita e della libertà personale. L’attività politica di governo, pur essendo relativamente libera nei fini da perseguire, si deve svolgere entro un perimetro di legalità. Come ha osservato il Tribunale dei Ministri, l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt.10,11e117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica. Ostacolare il salvataggio della vita umana in mare, impedendo – fra l’altro – lo sbarco dei naufraghi recuperati in altro mare, è una violazione di obblighi giuridici cogenti, che non possono essere dismessi per ragioni politiche. Eppure è proprio l’incensurabilità dell’azione politica quella che è stata invocata dal senatore Casini che, pur non condividendo l’indirizzo politico del ministro in tema di immigrazione, si è opposto all’autorizzazione a procedere osservando: “Non mi pare vi sia dubbio che le azioni del ministro Salvini siano coerenti ed esecutive del programma del Governo di cui faceva parte (..) La maggioranza parlamentare dell’epoca ha fatto di tale politica, restrittiva dei flussi migratori, uno dei punti centrali del contratto di Governo.” Quella che Casini ha evocato è la teoria dell’atto politico portata alle estreme conseguenze. Rientrano nella categoria dell’atto politico gli atti emessi dagli organi costituzionali nell’esercizio delle loro attribuzioni tipiche che -di norma- non possono dar luogo a responsabilità (per esempio la promulgazione di una legge da parte del Presidente della Repubblica). Nei sistemi politici autoritari lo spazio di azione dell’atto politico è massimo, nello Stato costituzionale di diritto, l’ambito dell’atto politico è minimo e – di norma – non può coprire gli abusi di carattere penale. L’ordinanza del Tribunale dei Ministri di Catania discute in modo approfondito il tema dell’atto politico, osservando: “il dogma dell’insindacabilità dell’atto politico è oggi presidiato da precisi contrappesi, caratterizzati dal “principio supremo di legalità”, dalla Carta costituzionale e dal rispetto dei diritti inviolabili in essa indicati, tra cui spicca in primo luogo il diritto alla libertà personale (.) a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, i cui articoli 24 e 113 sanciscono l’inviolabilità e l’effettività della tutela giurisdizionale, non è giuridicamente tollerabile l’esistenza di una particolare categoria di atti dell’Esecutivo in relazione ai quali il sindacato giurisdizionale a tutela dei diritti inviolabili dei cittadini possa essere limitato o addirittura escluso.” Il voto del 12 febbraio sancisce che la politica non è onnipotente: non può calpestare i diritti inviolabili delle persone. Non possiamo che rallegrarcene.